Copyright vs. Community
Posted: May 12th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: L'empire des lumières, La Sortie de l'école | 4 Comments »
Spesso si ritiene che il copyright, nelle incarnazioni con cui siamo abituati a confrontarci, sia parte integrante e fondante della nostra società. In genere si pensa che, senza diritto d’autore, nessuno sarebbe spinto a creare alcunchè di nuovo.
In questo articolo analizzeremo come quello che oggi chiamiamo diritto d’autore sia tutto tranne che una tutela per gli artisti o, più in generale, per i creatori di nuova conoscenza.
Il copyright moderno nacque successivamente all’invenzione della stampa. Prima di questo evento, chiunque poteva copiare un libro semplicemente facendolo di suo pugno. Di fatto il commercio delle opere non esisteva, e quindi non si sentiva il bisogno di legiferare sull’argomento. Un autore veniva pagato per scrivere un’opera, in genere dal potente di turno, ma non vedeva una lira per le copie del suo libro che venivano prodotte dopo la prima stesura.
Con l’avvento della stampa la situazione cambiò radicalmente, in quanto iniziarono a nascere gli editori, che, stampando migliaia di copie dei libri che gli autori scrivevano, iniziarono a creare profitto dalla diffusione di un libro su larga scala. Per assicurarsi di avere sempre nuove uscite con cui allettare il pubblico, gli editori, assieme ai governi, crearono il copyright. Il diritto d’autore, nella sua forma originaria, voleva essere un incentivo per gli autori, che tramite esso, si vedevano corrisposto un compenso per ogni copia dei loro libri che veniva venduta.
L’introduzione dei vincoli sulla copia delle opere letterarie toglieva ai lettori la libertà di effettuare copie dei libri che acquistavano, ma era bilanciata dalla garanzia di avere sempre nuovi libri di qualità e di finanziare gli artisti.
Col passare del tempo, tuttavia, le aziende spostarono il fulcro dei contratti di copyright sempre meno a tutela degli artisti e sempre più a tutela di sè stesse. Quello che doveva essere un diritto temporaneo, che arrivava a scadenza dopo un ragionevole lasso di tempo al fine di favorire nuove opere iniziò a venir prorogato. Emblematico è il caso della Disney, e delle sue pressioni sul governo americano per non veder scadere i diritti su un topo partorito ormai quasi 80 anni fa. Anzichè far fronte allo scadere delle royalty creando nuova arte, si paga il governo per allontanare il giorno in cui si dovrà fare i conti con lo scadere del copyright, e quando questo giorno si avvicinerà di nuovo, lo si posticiperà ancora e ancora. Il sistema ha mostrato chiaramente le sue contraddizioni.
Con l’avanzare della tecnologia, inoltre, è diventato sempre meno costoso diffondere opere d’arte, fino a giungere all’era di internet, in cui copiare un brano musicale non costa nulla ed è quasi immediato. Le aziende avrebbero potuto reagire a questo cambiamento in vari modi. Reagirono restringendo sempre più la libertà degli utenti, arrivando a commercializzare musica riproducibile solo su determinati lettori, o a vendere libri elettronici leggibili da una sola persona e per un numero limitato di volte. A una tale riduzione di libertà, però, non corrispose un adeguato corrispettivo agli autori.
La bilancia tra libertà tolte agli utenti e incentivi per la produzione di nuova arte iniziò a pendere troppo da una parte.
In quest’ottica si colloca il ciclo di conferenze che Richard Stallman sta tenendo in giro per l’Italia in questo periodo. L’inventore del software libero e del progetto GNU ha deciso di estendere la propria attenzione dai programmi per computer a tutti i campi del sapere, esponendo una sua visione di come, nel 2008, il copyright dovrebbe cambiare per restare al passo coi tempi.
Stallman ritiene che le libertà che vengono tolti agli utenti tramite il Digital Rights Management o altri meccanismi simili siano inaccettabili.
Egli ritiene che la diffusione di qualsiasi opera, per fini non commerciali, dovrebbe essere libera.
In particolare, individua tre categorie di opere che vadano coperte dal copyright:
- Tutte quelle opere che siano necessarie per la collettività – Si tratta, ad esempio, dei farmaci, o dei progetti di strade, o la ricetta per produrre energia pulita. Tutti questi prodotti, essendo fondamentali per il progresso e il benessere della società, dovrebbero essere disponibili per tutti, sia a fini di studio che di fruizione. Gli utenti devono essere liberi anche di migliorarle, in quanto da quest’azione trae giovamento tutta l’umanità.
- Opere legate a memorie – Sono tutte le opere "storiche", frutto di
testimonianze dirette dell’autore o di inchieste giornalistiche. Per
queste opere Stallman propone la libera circolazione non commerciale,
ma la possibilità di venderle o di modificarle solo con l’esplicito
consenso dell’autore. In questo modo si garantisce a chi produce opere
di guadagnare per il proprio lavoro, qualora questo venga distribuito a
scopo di lucro. Si garantisce anche che non possano esistere modifiche
del lavoro di un autore senza la sua approvazione. In questo modo si
vuole preservare l’integrità storica di questo genere di produzioni. - Opere di "intrattenimeno". Si tratta di tutte le restanti opere
letterarie, dai romanzi ai brani musicali. Per queste opere, Stallman
propone una riduzione drastica della durata del copyright, intorno ai
10 anni. Pone vincoli simili alle opere del gruppo 2, salvo che, per
mantenere l’integrità artistica di un’opera, non ne ammette la modifica
fino allo scadere del copyright. Una volta scaduto questo, l’opera sarà
completamente di pubblico dominio, e la comunità avrà anche la facoltà
di distribuirne proprie versioni modificate.
Resta la domanda su come facciano gli autori a guadagnare se chiunque può distribuire gratuitamente le proprie opere. L’obiezione nasce dalla convinzione, errata secondo Stallman, che chi produce arte guadagni in maniera rilevante dalle opere che vende. Questo, a suo dire, è falso, in quanto, ad esempio, i soldi che derivano dalla vendita dei dischi vengono distribuiti in maniera iniqua in gran parte alle superstar e in minima parte agli autori minori.
Stallman teorizza allora un mezzo informatico in grado, tramite la rete, di trasferire, tramite un clic, un euro all’autore di un brano che ci piace, semplicemente visitando la sua pagina web. Tagliando fuori le case discografiche, la distribuizione ingiusta dei proventi avrebbe fine.
Credo si tratti di riflessioni interessanti, con le quali magari si può non essere totalmente d’accordo, ma che costituiscono una buona base per una discussione critica.
g.
complimenti, proprio bello l’articolo!
Molto interessante. Aggiungo una cosa che riguarda solo la musica: una liberalizzazione sul tipo di quella di cui tu ( e Stalmann )parli favorirebbe la ricerca creativa nei concerti e nelle performances, e renderebbe questi ultimi i VERI momenti di fruizione musicale.
Negli anni “gloriosi” del jazz i vari Miles Davis o John Coltrane suonavano gli stessi pezzi: ciò che faceva la differenza era la tecnica, la bravura e la creatività di chi suonava. Ciò faceva del live il momento centrale della fruizione della loro musica, e la performance la vera pietra di paragone per giudicare l’artista.
Da questo punto di vista l’abolizione o la riduzione del copyright stimolerebbe la creatività invece che ridurla.
no? ste
Esattamente, nella visione di Stallman il modello attuale di copyright è un freno alla produzione artistica più che un incentivo.
Ciao.
A me sembra interessante anche il potenziale economico delle idee di Stallman, in una prospettiva di “commercio equo”. La possibilità di mettere in vendita direttamente le opere d’ingegno (libri, dischi, film…) permette un rapporto diretto tra il “produttore” e il fruitore che potrebbe tagliare via gli intermediari che lucrano sulla diffusione delle opere. Ad esempio ogni anno in Italia si producono, anche con ingenti finanziamenti pubblici, molti film che poi però non vengono distribuiti perchè costa troppo o perché considerati “senza mercato”. Tramite un sito si potrebbe mettere online il film e farlo scaricare a basso prezzo in un clic.
Non credo sarebbe una tragedia finanziaria: i soldi risparmiati per la distribuzione si potrebbero investire nel miglioramento dei prodotti, nella varietà e nella sperimentazione (sto sognando, ovviamente…).
E’ una strada già tentata per la musica: i Radiohead hanno messo online il loro ultimo disco a prezzo libero e con varie opzioni. Chi voleva la musica nuda ha dato 1, 5, 10, 20 euro…i fan si sono comprati il DVD extralusso con copertina rigida a uno sproposito.
I Wu Ming mettono online gratis tutti i loro libri con licenza Creative Commons…ma invitano a comprarne uno ogni tanto per dar loro la possibilità di scriverne altri!
Secondo me il punto centrale é questo: conciliare la libertà di condividere ogni contenuto con l’esigenza degli artisti di poterci campare dignitosamente.
Ragionare su questo punto secondo me è giusto, oggi invece si tende a criminalizzare il peer-to-peer come se fosse la causa di tutti i mali del mondo dell’arte…