Gasland

Posted: June 1st, 2011 | Author: | Filed under: L'age d'or | Comments Off on Gasland

Da voi l’acqua prende fuoco?

Questa è la catch-phrase del documentario Gasland di Josh Fox, che denuncia i rischi del “fracking”, una tecnica usata per l’estrazione di gas naturale che prevede l’iniezione nel terreno di migliaia di litri di acqua contenente sostanze tossiche e metalli pesanti. Acqua che viene recuperata solo in parte e che si mescola inevitabilmente alle falde acquifere, contaminando l’acqua potabile e compromettendo l’equilibrio ambientale. Nei luoghi più vicini agli impianti di estrazione, l’acqua del rubinetto prende fuoco, gli animali muoiono e le persone si ammalano: nei casi meno gravi, mal di testa e piccoli disturbi inspiegabili, nei casi più gravi perdita del gusto, cancro e neuropatie degenerative.

I pozzi sono stati costruiti senza rispettare le norme più elementari contro l’inquinamento idrico, cancellate dall’amministrazione Bush nel 2005 – una deregolazione che ha reso il settore del gas naturale negli States economicamente lucrativo e di fatto ha aperto una vera e propria corsa speculativa, con centinaia di migliaia di pozzi aperti in 6 anni e almeno altrettanti in progettazione.

La nocività del fracking è difficilmente dimostrabile, perché le compagnie non sono obbligate a rendere pubblici gli agenti chimici che vengono aggiunti al liquido di frattura. E, in ogni caso, le corporations procedono secondo una linea di disingaggio ormai collaudata: acquistano la protezione dall’alto, negano ogni responsabilità, isolano le singole vittime proponendo accordi privati, se gli va male patteggiano i danni, e poi vanno da qualche altra parte. Per ogni Erin Brockovich, migliaia se lo prendono nel culo.

Sul sito del film, interessante per il modo in cui cerca di coordinare iniziative spontanee in tutti gli Stati Uniti, c’è uno schema in flash che spiega in dettaglio cos’è il fracking:

what-the-frack!

Fox è un emulo di Moore, ma più magro e sofisticato e inserito nei circuiti artistici della Grande Mela. Flint da una parte, New York dall’altra.  Inutile dire che la mia preferenza va alla prima. Comunque, anche se Fox è meno pantagruelico di Moore, resta comunque un americano “folk”, il che comporta:

1- un’affinità innata per il banjo e le maschere antigas (quello nella locandina è lui)

2- un istinto irrefrenabile che, di fronte a una qualunque cosa chiaramente stupida e visibilmente pericolosa, spinge gli americani a provarla sulla propria persona

Gasland bilancia bene interviste (preponderanti, ma riprese in mezzo alle baracche e alle campagne sporche del Midwest come si vedono solo nei film di Debra Granik), schede tecniche (dinamiche, alla Food Inc. e The Corporation, ma meno ricche e inventive) e momenti puramente cinematografici, che sono quelli artisticamente migliori – nevi sgranate, strade e deserti industriali.

Il documentario centra l’estensione del problema, ma manca la bigger picture, che si limita ad un salviamo la terra degli uomini liberi, senza un discorso politico complessivo – un mix di ecologia, democrazia partecipativa e radici americane che è evidentemente debitore di una cultura politica radicale, ma da cui allo stesso tempo prende un po’ le distanze, anche solo per non spaventare la fetta di americani più conservatori, ma comunque colpiti dalla trivellazione del gas.

Per un motivo coerente e analogo, il film insiste sull’imminente cessione alle principali compagnie di estrazione dei terreni pubblici del bacino del fiume Delaware, che fornisce l’acqua potabile di New York e Philadelphia. Come dire, tra poco il laghetto coi cigni di Central Park diventa una vasca di trementina. In questo modo Fox va a colpire nell’intimo i circoli dell’élite, che hanno, a livello politico e mediatico, un peso almeno pari a quello di tutto il resto del paese.

Sarà interessante valutare l’impatto di Gasland, specialmente perché, come e forse più di altri documentari contemporanei, non è soltanto l’interpretazione di un fatto finito, ma è concretamente mirato ad ottenere effetti politici a breve-medio termine.

E anche perché, molto presto, le compagnie di gas metteranno gli occhi sull’Europa.

 

Carlo


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