Il posto delle fragole

Posted: March 24th, 2012 | Author: | Filed under: L'age d'or | Comments Off on Il posto delle fragole

Io, Antonius Block, gioco a scacchi con la morte.

In più di un senso il potere è come la morte: perché non può che distruggere, perché cerca e provoca la stasi, perché è onnipresente e può permettersi di barare sulle regole del gioco. Non solo è un’ostacolo alla libertà, ma anche alla conoscenza – come dice la morte nel film di Bergman, anche il potere dice: non ho bisogno di sapere.

Quando il potere non comprende, o finge di non comprendere, in quel momento esercita il massimo del potere. Il silenzio di dio, quindi, la sua incolmabile distanza dagli esseri umani, grande tema del Settimo Sigillo, altro non è che il discorso muto del potere. Block non si rende conto che il dio che lui cerca nella sua malinconia trascendentale e che sembra non rispondergli è in realtà la morte che gli sta a fianco e che lo sta ingannando.

Block è un nostalgico, oltre che un credente: la sua ribellione, il suo scetticismo e il suo desiderio di conoscenza, che superficialmente ne fanno una grandiosa figura di ribelle, si trasformano invece negli strumenti di una autoillusione. Quando, sulla collina inseme alla famigliola di artisti girovaghi e madonnari, Bibi Andersson gli allunga latte e un cesto di fragole, gli sta offrendo il simbolo di una vita a cui Block non ha mai partecipato. Per Bergman, la rivolta dell’uomo affonda nella nostalgia dei luoghi perduti, nell’infanzia – le fragole condivise sulla collina in mezzo all’Inghilterra all’alba dell’apocalisse sono le stesse del melanconico professor Isak Borg ne Il posto delle fragole.

Ma c’è chi le fragole le coltiva. Mentre Block (un soldato dopo tutto) era alle crociate, altri erano nei campi, nelle piazze, nei teatri, nelle scuole. Loro, a differenza del tetro cavaliere, una speranza ce l’hanno. La rivolta è meglio espressa sui campi di terra viva, che sulla scacchiera truccata di una partita contro la morte. Questo, in definitiva, è l’insegnamento più importante della lotta in Val Susa.

Gazastrophe 48:51 – 52:40.

Troppo facile, e forse pericoloso, tracciare un parallelo tra la Val Susa e la Palestina, anche se è vero che entrambi sono luoghi di resistenza. Il paragone per me si ferma allo spazio condiviso, conviviale, di Awad che offre le sue fragole, coltivate intorno a una casa più volte distrutta e ricostruita, mentre recita una poesia di Mahmud Darwish, le sue idee, anche la sua propaganda. Una scodella di fragole che ha ben altro gusto e ben altro valore della nostalgia.

Con le ultime risposte del governo alla resistenza contro il Tav in Val Susa – risposte mute e violente – quello che doveva essere chiaro a tutti fin dall’inizio ora può essere ignorato solo con un’opera di paziente autoillusione: la lotta contro l’alta velocità non è un fatto politicamente circoscritto, ma rappresenta la nuova frontiera e incarna le nuove forme dell’opposizione al potere.

A causa del sostegno acritico e incondizionato alla speculazione, prima, e, poi, al ricorso automatico alla forza di fronte al dissenso, il governo si trova ora nella situazione di non poter recedere senza determinare un pericoloso precedente. Si trova a difendere non tanto un’opera, francamente indifendibile, quanto il suo stesso arbitrio. Il discorso del potere si pone oltre ogni forma di giustificazione: je sais bien, mais quand même, come scriveva Octave Mannoni. Lo so che è una pessima idea, ma facciamolo lo stesso – significativamente, è lo stesso atteggiamento degli indifferenti, di chi non si sente coinvolto: una presa di distanza tanto facile da fare a livello personale, quanto incoraggiata dalle nostre forme sociali. Allo stesso tempo, però, è una causa sicura di suicidio per soffocamento. Una vittoria del movimento, al contrario, mostrerebbe con chiarezza che, riproposta nei luoghi della produzione, estesa contro la stessa produzione, la forma di lotta sperimentata contro il tav può essere efficace.

Il movimento no tav, più e meno consapevolmente nelle sue varie parti, conduce una lotta contro la produzione (e non per il controllo dei mezzi di produzione), per l’autogestione (e non per la gestione democratica), per i beni comuni (e non per il bene comune – che è una astrazione, e ciò che è bene per una astrazione di solito non è bene per nessuno). In più, è una lotta fondamentalmente non violenta. E’ una vera lotta anarchica, giocata non solo contro il potere, ma contro la produzione e contro la violenza – per questo motivo subisce particolari attenzioni dalle istituzioni di potere, intellettuali o repressive che siano.

Tornando ai film, possiamo allora rileggere Jons, il paggio del Settimo Sigillo, insieme al nuovo spirito degli anarchici montanari, facendone, più che un semplicione, un materialista felice, libero dal fuoco della tecnologia e della religione: “la mia pancia è tutto il mio mondo”, dice, “la mia testa la mia eternità, e le mie mani due magnifici soli. Le gambe sono i dannati pendoli del tempo e i mie piedi sporchi i due eccellenti fondamenti della mia filosofia. Il tutto vale esattamente quanto un rutto, con l’unica differenza che un rutto dà più soddisfazione”. Manca solo il sesso, filosofico Bergman, maliconico Bergman – una pancia, due soli, un po’ di musica e abbiamo un’anarchia coi piedi per terra.

 

Carlo


Comments are closed.