Lotta Compromesso Repressione

Posted: January 25th, 2010 | Author: | Filed under: La chambre d'écoute | 2 Comments »

La lotta è vinta dai compromessi che la snaturano. Ciò che i compromessi possono avere di buono viene annullato dalla repressione, a cui sopravvive soltanto il peggio, se qualcosa sopravvive. E solo la lotta può opporsi alla repressione.

Possiamo giocare tutte le volte che vogliamo, ma finché le regole sono queste non riusciremo a cambiare niente.

Se non cambiamo prima di tutto il nostro modo di concepire la realtà, non la cambieremo mai.

Allora, diamo per scontato che c’è qualcosa che non abbiamo capito. Che noi stessi nei confronti della lotta ci comportiamo in un modo che non comprendiamo fino in fondo.

Chiedersi come fare la lotta è anche chiedersi che cosa è la lotta. Come ne parliamo, come ne sogniamo, come la facciamo (o non la facciamo)?

Pensiero, linguaggio e azione sono connessi e, spesso senza che ce ne rendiamo conto, sono condizionati dalle stesse strutture. Ma quali? Come si manifestano nel linguaggio? Come influenzano l’attività dei gruppi? Come definiscono l’idea stessa di gruppi, di iniziative, di attivismo e i loro campi e possibilità di azione? E, alla fine, come possono essere cambiate e in che direzione?

Carlo


2 Comments on “Lotta Compromesso Repressione”

  1. 1 Giacomo said at 21:56 on January 26th, 2010:

    Caro Carlus,

    l’argomento è di vastità oceanica.

    Dal punto di vista della prassi politica -quella che conosco meglio- la cosa importante mi pare sempre cercare di legare la singola battaglia a un progetto ideale di ampio respiro che punti a un modello di società nuovo.
    Esempi concreti: la lotta per i diritti LGBT può essere un modo di affermare contemporaneamente i diritti di tutte le altre minoranze senza tutele (ad es. gli immigrati); la lotta per la Moschea a Genova è la lotta per la libertà religiosa che a sua volta è una conseguenza della laicità dello stato da difendere; la difesa del Parco dell’Aquasola può essere anche difesa degli spazi verdi e quindi dell’ambiente…e così via.

    Quello che noto nel mio piccolo è invece che spesso ognuno va per conto suo difendendo la sua tematica ed evita accuratamente di “fare rete” con gli altri soggetti.
    Oppure difende il suo particulare e basta (vedi sindrome NIMBY).
    Senza arrivare a gustosi paradossi come gli immigrati omofobi, i gay xenofobi,
    i meridionali razzisti,
    i precari contro i pensionati e viceversa, gli ecologisti pro nucleare, le donne maschiliste …e così via.

    La potenza del “divide et impera” imposta dal neoliberismo ha trionfato, è dalla tragedia del G8 (quasi 10 anni!) che non si tenta più di costruire un movimento ampio e partecipato degno di questo nome…e i risultati si vedono ovunque.

    Sul piano teorico per ora non mi addentro…

  2. 2 anarcosurr said at 13:39 on February 3rd, 2010:

    Bene.
    In che misura il ‘divide et impera’ è imposto dalla vastità e pervasività dell’oppressione (non riusciamo neanche a ottenere due soldi per l’università, figuriamoci strutturarla, o strutturare addirittura la società, in un modo nuovo) e in che misura dalla poca vivacità ed efficacia dei discorsi su cosa questa società nuova dovrebbe essere?
    Mi ci metto io per primo, ma non mi sembra che abbiamo delle idee molto convincenti. Convincenti, prima ancora che applicabili.
    E questo non è tanto un limite dei partiti, non ne parliamo nemmeno, ma dei movimenti, dei gruppi, dei nuclei…

    Un punto di vista interessante è quello di Slavoj Zizek, che in una conferenza (http://www.youtube.com/watch?v=_GD69Cc20rw&feature=related) propone di reinventare e radicalizzare il concetto di proletario come soggetto senza sostanza per estenderlo (e così legare) il discorso sul capitale, sull’ecologia, sulla proprietà intellettuale , sul cibo…
    Divertente anche la definizione del Kansas…

    Carlo