Beat Humanism

Posted: March 6th, 2012 | Author: | Filed under: L'age d'or | Comments Off on Beat Humanism


“I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysterical naked”… così urlava Ginsberg. Nell’ultimo film di Tony Kaye, Detachment, l’urlo è strozzato in gola e le menti che muoiono di fame, nude e isteriche, sono quelle di una intera generazione.

Detachment non è il solito film sulla violenza nei licei americani. La violenza non è banalizzata e risolta con un corso di danza, nè interpretata in termini morali o generazionali. Non è neanche un film sull’istituzione scolastica, magari impostato in rigidi termini di classe come l’inglese NEDS di Peter Mullan, che pure, e per lo stesso motivo, ha il suo interesse. In un certo senso, Detachment è un film più attuale, di certo vuole essere più profondo, perchè è un film sul distacco dalla realtà delle relazioni umane. L’istutuzione scolastica è ancor più totale, perchè è vuota. E’ una Casa degli Usher, come recita la citazione finale del film, mentre nelle aule deserte agonizzano assieme ai libri di testo tutte le pagine della letteratura – una fabbrica della desolazione nella quale anche la poesia è impotente.

Detachement riesce a dare una visione veramente oscura del presente e del futuro non solo dell’educazione istituzionale, ma dell’intera cultura globale. Così, tra la portata ambiziosa e la complessità del tema, non può essere completo, e in particolare, alterna personaggi e monologhi molto riusciti, perfino esaltanti, a situazioni al limite del moralismo, che ne indeboliscono l’impatto politico. Anche per questo viene in mente Kerouac, che scrivendo di Dean Moriarty e Sal Paradise pare avesse in mente Pilgrim’s Progress – una specie di Divina Commedia alla puttanesca. Come le due cose vadano insieme spesso è un mistero, tutto Americano, ma, nello specifico di Detachment, l’anello comune tra critica sociale e battismo riformato è senz’altro Martin Luther King – e c’è sicuramente di peggio.

Rispetto ad American History X, in Detachment l’elemento razziale è in secondo piano, ma c’è la stessa fiducia nell’educazione umanista come base della condotta personale e come strumento di coesione sociale. Un umanesimo per niente pacificato e conservatore, ma anzi rivitalizzato dall’incontro con la lotta per l’emancipazione della comunità afroamericana, incarnato in American History X dal professor Sweeney (Avery Brooks), un accademico di colore che ha scelto di insegnare in prima linea nei licei e che si pone come antagonista efficace rispetto all’ideologia violenta del white power. E, in Deatchment, un umanesimo beat – nel senso che gli dava Kerouac, tra beatific and beaten: qualcosa tra la gioia trascendentale e l’essere picchiati a sangue. Di nuovo un insegnante, Henry Barthes (Adrian Brody), un supplente veterano a suo agio tanto nelle aule, dove conserva un distacco modellato su quello del Pianista tra le rovine di Varsavia, che nelle strade più remote della periferia dove si aggira sobrio e allucinato.

Clip.

I suoi colleghi formano un corpo docenti non meno memorabile e flamboyant. Lucy Liu è la professoressa Parker, oltre i confini dell’esasperazione, che sbatte in faccia ad una ragazzina strafottente l’inconsistenza delle sue illusioni (rispetto a cui la stessa bellezza dell’attrice, e il casting “fuori luogo”, creano una bella mise en abîme) e la realtà del mondo verso cui si dimostra così indifferente. James Caan è Mr. Seadbolt: fuori controllo, viaggia su manciate di prodotti chimici e regala momenti di ferocissimo sarcasmo contro gli studenti, mentre il suo collega Tim Blake Nelson semplicemente si aggrappa alla rete del cortile, distrutto e nauseato e convinto che nessuno possa vederlo. Chi è già crollato è un professore di cui ascoltiamo solo messaggi in segreteria: uno di questi, in cui si lamenta rabbiosamente di genitori e alunni e invoca un ritorno all’ordine e alla disciplina, degenera in una cacofonia di latrati nazisti.

Kaye su questo punto è chiarissimo: il problema non può essere risolto con un irrigidimento dell’istituzione, come si cerca di fare dappertutto in questo momento – quello che manca sono gli esseri umani. Nelle sue foto, una degli allievi, Meredith (Betty Kaye), mostra tutti senza volto, assenti, le aule vuote. Non luoghi e non persone. I ragazzi suoi comapgni sembrano droni suicidi, ed è nell’ordine delle cose che lei, l’unica che accenna a non esserlo, che si guarda intorno con l’aiuto di una macchina fotografica e combatte per creare se stessa attraverso qualcosa di condivisibile, sia l’unica che si debba suicidare per davvero.

Clip.

Altra figura notevole è Mr. Mathias (Isiah Whitlock Jr.), un dirigente comunale che comincia il suo discorso che preannuncia la chiusura del liceo con un “lasciatemi dire che io amo gli insegnanti”, rubando il tono a Martin Luther King, per poi passare al gergo velenoso del piccolo uomo di potere, con una abilità di caratterista già dimostrata col magistrale “Shiiiiit” di The 25th Hour. Due esempi del doublespeak istituzionale in cui siamo immersi.

Il casting e la recitazione di Adrian Brody garantiranno una maggiore circolazione ad un film ostico mentre in tutto il mondo si dà il colpo di grazia all’educazione pubblica. Oppure no, magari proprio per questo si troverà chi è disposto a esercitarsi in mille o duemila parole di doppio pensiero ribadendo il valore del merito contro quello del diritto, dell’eccellenza del sapere sulla sua diffusione e del mercato del lavoro su qualunque altra cosa. Altri magari si aggrapperanno ad un apprezzamento qualunquista delle virtù di buon samaritano del personaggio di Barthes, o, più probabilmente, si limiteranno alle lodi a Brody attore. Staremo a vedere. Detachment, pur con un fastidioso abbozzo di redemption narrative, ha tutti i numeri per diventare un punto di raduno dell’immaginario nella rivoluzione sociale dell’insegnamento, perchè mette a fuoco il problema, insieme alle sue radici più profonde, e perchè è un film fatto bene, dal casting alla recitazione alla scrittura. Un film che mette in luce l’enorme responsabilità sociale degli insegnanti, un invito a cercare rapporti umani, a uscire allo scoperto, a parlare, a urlare.

Carlo


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