Utopia dell’educazione

Posted: January 21st, 2011 | Author: | Filed under: La Sortie de l'école | Comments Off on Utopia dell’educazione

Come un nonluogo consiste in un luogo privo di relazioni sociali, il nontempo è un tempo privo di storia. E’ l’idea di tempo caratteristica di quello che in passato si sarebbe chiamato un ordine cosmico immutabile, e che oggi è l’ordine globale.

L’idea di nontempo implica prima di tutto che il presente non possa cambiare.  In questo senso il nontempo, come tempo privo di dialettica, è il risultato di quella che Fukuyama chiama fine della storia: l’impossibilità (materiale o solo ideologica) di andare oltre al sistema democratico e liberista.

Che interesse ha, in sé, il concetto di tempo all’interno dell’ordine globale? Onestamente, non molto. Anche per questo l’ultimo libro di Marc Augé sembra avere un titolo tirato per i capelli: Où est passé l’avenir?

Sono più interessanti alcune considerazioni su argomenti vari, legati più all’idea di cultura come natura (70) che al concetto di nontempo: la globalizzazione come sistema ideologico, il senso e la contestazione nella società, nell’arte e nella critica della cultura, e quella che Augé chiama l’utopia dell’educazione.

Augé parla della globalizzazione come di una “ideologia della globalità senza frontiere”, che produce allo stesso tempo uniformità ed esclusione (33).

In forza della sua egemonia ideologica il globale è vissuto come interno, familiare, sensato, mentre il locale è considerato esterno al sistema, deviante. Per lo stesso motivo, il locale è l’unica possibile fonte di contestazione e anche di “storia”, che Augé tratta come sinonimi (35).

E’ anche evidente, però, che ogni comunità locale ha bisogno di negoziare un accesso al sistema globale per poter esercitare la propria influenza, in certi casi, per negoziare la propria stessa esistenza. Ma nel momento in cui una comunità locale(se si vuole, una sub-cultura) accede ai media accede necessariamente anche alle ideologie che gli danno forma.

Ed è, io credo, questo rapporto di dipendenza dei gruppi locali verso le strutture globali di comunicazione che costituisce l’imporsi stesso del sistema e che determina l’ambiguità di quelle forme di contestazione, politica, intellettuale ed artistica, che spesso rimangono, secondo Augé, “prigioniere di quegli stessi schemi di pensiero alle quali si oppongono” (12).

I media diventano quindi la scena in cui avviene lo scontro tra conformismo e contestazione. Più ancora, i media possono essere identificati con il sistema stesso, in quanto codificano il rapporto tra società e individuo: “[…] i media svolgono oggi il ruolo che un tempo spettava alle cosmologie, alle visioni del mondo che sono allo stesso tempo visioni della persona e che creano un’apparenza di senso legando strettamente i due punti di vista. […] L’indispensabile necessità di dare senso all’universo, che Lévi-Strauss lega all’apparizione del linguaggio, si è attuata con l’imposizione sulla realtà del mondo di una logica simbolica applicata anche alle relazioni tra gli umani” (40).

In altre parole, abbiamo bisogno di ideologie – di sistemi di pensiero – per dare senso alle nostre esperienze, ma nella misura in cui l’ideologia determina a priori il senso delle nostre esperienze, riconducendole ad un universo di convenzioni, essa è anche il limite fondamentale all’espressione libera del pensiero di ogni individuo e il primo strumento del controllo sociale. In un modo simile Augé pone il “senso”, in quanto significato codificato da una cosmologia dominante, essenzialmente contro la storia, la creatività, la libertà e la scienza.

I media sono, in questi termini, un sistema di “senso”, un “mondo dell’immanenza nel quale l’immagine rimanda all’immagine e il messaggio al messaggio; mondo da consumare subito, come i bignè alla crema [come i fulmini, éclairs]; mondo da consumare ma non da pensare; mondo dove si possono attivare procedure di assistenza ma dove non è possibile elaborare strategie di cambiamento” (28). Sono l’applicazione del modello di consumo ai discorsi e alle relazioni sociali.

Allo stesso modo, anche nell’arte il sistema globale si impone come sistema di “senso”: nelle parole di Augé, “il primato del codice, che prescrive i comportamenti [… e] costruisce le relazioni, ha effetti pesanti sulle condizioni della creazione. Il mondo che circonda l’artista e l’epoca in cui vive gli si palesano solo in forme mediatizzate – in immagini, avvenimenti, messaggi – che sono esse stesse effetti, aspetti e motori del sistema globale” (49-50). Col risultato che l’arte, invece di distruggere le evidenze della cultura in cui prende forma si riduce ad una mera espressione del suo contesto. La massima aspirazione per l’opera d’arte diventa così acquisire “pertinenza” al suo contesto politico e sociale invece di ambire ad una “presenza” come forza di destabilizzazione (52).

L’arte propriamente detta prende quindi le distanze dal contesto, si oppone al senso, comune e non comune, e si distacca dagli apparati materiali che ne condizionano la produzione, così come da quelli ideologici che ne influenzano le forme e, molto spesso, ne determinano i contenuti.

In ultima analisi, il livello di azione più profondo del sistema globale rimane quello dei rapporti tra l’individuo e la comunità, già affrontato da Augé nella costruzione del concetto di nonluogo: “l’identità individuale non è definibile, pensabile e vivibile se non in relazione con altri. Ma anche il senso sociale a sua volta si smarrisce se l’individuo si dissolve nel conformismo, nell’omogeneità, nell’allineamento. L’individualità si realizza dunque nella solidarietà, ma noi sappiamo anche che questa realizzazione, nelle sue forme più alte (l’amore, l’amicizia) non ha bisogno di un quadro istituzionale. La forma sociale ottimale (che concilierebbe senso e libertà) sarebbe allora quella che consentirebbe a tutti gli individui di realizzarsi liberamente senza isolarsi” (103-104).

Questa forma sociale, che Augé cautamente non nomina, è l’anarchia.

E per l’attuazione di questa forma sociale, che richiede il coraggio di ogni individuo di confrontarsi con la propria libertà (104), il primo passo sta in quella che Augé chiama “utopia dell’educazione”. Un progetto che deve ridistribuire la conoscenza come presupposto della giustizia sociale e come essenza del progresso sociale.

Una utopia, l’unica, che può essere “riformista nel metodo”, in quanto “ogni iniziativa puntuale, locale, può essere considerata come un passo nella giusta direzione, non come un tradimento dell’ideale” e perché, in merito all’educazione, nessun risultato è trascurabile (108). Il sapere, infatti, è l’opposto dell’ideologia, perché non è mai totalizzante, mai immobile, sempre nutrito dalle relazioni umane.

La rivoluzione sociale dipende dunque in prima istanza da una rivoluzione sociale dell’insegnamento.

Carlo

Marc Augé (2010) Che fine ha fatto il futuro?: Dai nonluoghi al nontempo. Milano: Elèuthera.

Conclusione sull’utopia dell’educazione.


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