God-soldier

Posted: April 26th, 2011 | Author: | Filed under: L'age d'or | Comments Off on God-soldier

Con Caterpillar, a settanta e rotti anni e dopo una vita di soft-porn e pulp giapponese, Koji Wakamatsu firma un autentico film militante, con tutti i pregi e i difetti che potrebbero essere quelli di un giovane regista di cinquanta anni fa.

Storia minima: seconda guerra mondiale, fronte cinese, il soldato giapponese Tadashi perde braccia e gambe e rimane sfigurato mentre stupra una donna. Spacciato dall’esercito per un eroe di guerra, torna a casa pieno di medaglie e elevato al rango di soldato-dio. Orribile, incapace di parlare, non più umano, Tadashi è il soldato modello, l’orgoglio del suo paese, un feticcio dell’autorità nazionalista. Per questo deve restare in vita anche se non può più avere una vita, e per questo la sua giovane moglie Shigeko è costretta ad occuparsi di lui pulendolo, nutrendolo e soddisfando i suoi non sopiti istinti sessuali. Già prima della guerra un marito violento, da mutilato il soldato-dio diventa un dio-bambino esigente, egoista e, se possibile, ancora più oppressivo.

Sottomessa al marito e allo stato, Shigeko deve conservare le apparenze impeccabili della moglie di un martire, ogni giorno subendo nel suo intimo l’orrore della guerra. Prova a ribellarsi, ma non può farlo fino in fondo. Infine, all’apice della violenza, con la sconfitta del Giappone e all’alba del terrore atomico americano, il soldato-dio si suicida annegandosi in uno stagno. Non prima di aver sofferto come un cane per tutto il film e disgustato in ogni modo gli spettatori.

Caterpillar è un film diretto, povero e rivoltante.

A livello formale è troppo sciatto per essere un film “orientale” e ugualmente non abbastanza sgranato e sobbalzante per passare per una prova di Dogma. Sembra una soap opera antifascista, e il contrasto tra la forma e il tema avrebbe potuto essere efficace.

Purtroppo, lo stile finisce per sostenere l’aspetto didascalico del film, che Wakamatsu rinforza oltre misura riducendo la trama a una mezza dozzina di scene ripetute ossessivamente: cibo, violenza, sesso, escrementi e medaglie…

Il lato migliore, invece, è l’antifascismo schietto, marcato e offensivo – offensivo per i fascisti e per il buongusto borghese. In uno dei passaggi più raffinati, al contrario, l’occhio della ragazza cinese stuprata, invaso dalle fiamme di un incendio, diventa il sole nascente della bandiera nipponica. Provate a immaginare qualcosa di simile con un repubblichino.

Anche se Wakamatsu non attacca il fascismo nelle sue forme più contemporanee, nell’organizzazione del lavoro, nel consumo, nella violenza verso i migranti, sputa comunque in faccia al nazionalismo e denuncia, senza facili illusioni di riscatto, l’oppressione della donna.

Quanti giovani registi, in questo, sono molto più vecchi di lui.

Carlo


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