Orgoglio e gloria del Web 2.0
Posted: April 20th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: L'empire des lumières | Comments Off on Orgoglio e gloria del Web 2.0
Durante l’ultima visita in libreria mi sono imbattuto in "Zero Comments" di Geert Lovink, sottotitolo "Teoria critica di Internet". Il primo dei tre saggi contenuti nel volume si intitola "Orgoglio e gloria del Web 2.0". Dopo averlo letto, posso dire di non essere d’accordo con buona parte delle idee esposte dall’autore, che spesso, a mio avviso, vanno in una direzione sbagliata, o presentano mancanze che difficilmente mi spiego. Tale saggio, tuttavia, mi ha suscitato alcune riflessioni.
Innanzi tutto, da partigiano dei media liberi, dell’informazione accessibile a tutti, della privacy e dell’anonimità quale sono, difficilmente tengo a mente che alla stragrande parte delle persone che utilizzano internet di tutto ciò non importa nulla. Peggio ancora, non sono neanche coscienti che effettivamente un problema su queste tematiche esista.
E’ vero però anche il contrario. Come Lovink ci ricorda, per una certa categoria di hacker e attivisti (o hacktivisti, per usare un neologismo un po’ abusato), tra cui, in parte, mi riconosco, "i milioni di utenti normali semplicemente non esistono: così, lo scontro su Internet è ritratto come una lotta eroica tra gli hacker e le forze di sicurezza. Le masse di utenti non sono nemmeno prese in considerazione come pubblico". Questa frase va a colpire non troppo lontano dal centro del bersaglio, secondo me. Troppo spesso gli utenti esperti e "coscienti" si perdono in discussioni sui massimi sistemi, scatenano guerre di religione su questioni tutto sommato futili o, talvolta, si ritirano in isole felici, come la piattaforma su cui questo blog è ospitato, ignorando ciò che avviene all’esterno. Forse si otterrebbero risultati più efficaci se si impiegassero le forze a rendere più gente possibile cosciente delle trappole che si nascondono dietro al Web 2.0, anzichè lottare contro i giganti.
Diamo allora un’occhiata a cosa fa la gente con la rete, allontanandoci per un po’ dai siti a noi cari, da autistici/inventati, dalla rete tor, da wikipedia.
Cosa ama fare la gente sulla rete nel 2008? Non imparare, non condividere la propria conoscenza, ma farsi vedere. Si aprono blog in cui si mette in mostra la propria vita privata, si creano reti sociali, si condividono gusti e interessi. In questo mondo, una pagina senza commenti (come riecheggia il titolo del libro) è come se non esistesse. Ciò che la gente ha da dire perde di importanza, ciò che conta è quello che gli altri pensano di ciò che viene scritto. Ed ecco nascere immensi social network, che contengono non si sa bene cosa.
Non ho mai bazzicato MySpace, non frequento nessuno che lo usi. Al momento di scrivere quest’articolo, ho deciso di andare a dare un’occhiata… Dalla home page si accede a decine e decine di blog, ma visitandoli sembra che non abbiano nulla da dire a un visitatore… "Io sono tizia, questi sono i miei interessi, questi sono i miei amici…" Come possono pagine del genere interessare a una persona che non ti conosce? L’arcano è presto svelato: non sono informazioni che debbano interessare alle persone, ma ai signori a cui MySpace le venderà a caro prezzo… sì, perchè dietro all’ingenuità e alla vacuità di molti c’è chi intasca milioni di dollari… Ma, come dicevo, questo pare non interessare quasi a nessuno.
Vedo che molti gruppi musicali giovanili mettono i propri brani su MySpace, e mi domando: come sarà gestito il copyright? Mi vado a leggere l’accordo di licenza del sito. "L’Iscritto mantiene ogni eventuale diritto sui propri Contenuti pubblicati sui Servizi MySpace". Perfetto, quindi se un brano è mio continua ad esserlo… ma i contratti vanno letti fino in fondo… "l’Utente concede a MySpace una licenza limitata per l’uso, la modifica, la rimozione, l’ampliamento, l’esecuzione o esposizione pubblica, la riproduzione e la distribuzione di detti Contenuti esclusivamente su o tramite i Servizi MySpace, compresa – a titolo esemplificativo e non limitativo – la diffusione parziale o totale del sito MySpace su qualunque supporto o formato e tramite qualunque canale mediatico". Come può la gente accettare una cosa simile? L’ho chiesto a un ragazzo che suona in uno dei detti gruppi. Mi ha risposto "Non so, è gratis. Ed è un modo di farsi vedere". E quanti sono coloro che sono disposti a regalare tanti diritti in cambio della gratuità di un servizio? 182’911’321. Sconcertante.
Ma torniamo al saggio. Lovink si scaglia apertamente contro la gratuità, in più di un punto. Ma vi si scaglia con un intento sbagliato a mio avviso. Egli contesta il fatto che non venga mai messo in discussione il modello economico che sta dietro al web 2.0: milioni di utenti felici e pochi che intascano tutti i soldi. Vedrebbe di buon occhio la fine dell’ideologia del free (parole sue) e la sua trasformazione in un modello economico sostenibile, che premi i dilettanti che pubblicano contenuti aiutandoli a diventare professionisti. Ora, questa secondo me è un’ottica del tutto sbagliata. Ciò che è in gioco non è il guadagno da parte dei blogger, ma la loro libertà, e la libertà delle informazioni che essi pubblicano. Nessuno garantisce che le informazioni che dette aziende hanno su di me non saranno usate contro di me prima o poi, così come nessuno garantisce che i contenuti che produco non saranno usati per fini che non approvo. O peggio, che fine farebbero i contenuti ritenuti "scomodi" da chi gentilmente mi ospita? La gratuità è un problema secondario, a mio avviso. Certo, se uno volesse guadagnarsi da vivere tenendo un blog, al giorno d’oggi incorrerebbe in numerose difficoltà. Ma reputo assai più importante che egli possa scrivere ciò che desidera, e decidere se e come distribuirlo, anche senza vedere un euro.
La parte in cui le mancanze si fanno più sentire, però, è quella in cui Lovink parla dell’Internet post-11 settembre, "condizione di libertà ma anche un rifugio per opinioni imbarazzanti", sostenendo che la svolta a destra della società sia in parte acuita dalla "struttura libertaria della rete". Ora, questo può anche essere vero, ma se la rete è libera e noi desideriamo che continui a esserlo è anche per poter esprimere liberamente le nostre opinioni, senza paura di censure. Questo ha l’effetto collaterale di dare questa facoltà anche a chi la pensa in maniera opposta a noi, ma è un compromesso che, personalmente, sono disposto ad accettare.
Prima di pensare a un modello economico sostenibile per il web 2.0, sarebbe bene garantire che le libertà di cui godiamo e per cui faticosamente lottiamo non corrano alcun pericolo. E la strada, per questo, temo sia lunga.
E’ vero però anche il contrario. Come Lovink ci ricorda, per una certa categoria di hacker e attivisti (o hacktivisti, per usare un neologismo un po’ abusato), tra cui, in parte, mi riconosco, "i milioni di utenti normali semplicemente non esistono: così, lo scontro su Internet è ritratto come una lotta eroica tra gli hacker e le forze di sicurezza. Le masse di utenti non sono nemmeno prese in considerazione come pubblico". Questa frase va a colpire non troppo lontano dal centro del bersaglio, secondo me. Troppo spesso gli utenti esperti e "coscienti" si perdono in discussioni sui massimi sistemi, scatenano guerre di religione su questioni tutto sommato futili o, talvolta, si ritirano in isole felici, come la piattaforma su cui questo blog è ospitato, ignorando ciò che avviene all’esterno. Forse si otterrebbero risultati più efficaci se si impiegassero le forze a rendere più gente possibile cosciente delle trappole che si nascondono dietro al Web 2.0, anzichè lottare contro i giganti.
Diamo allora un’occhiata a cosa fa la gente con la rete, allontanandoci per un po’ dai siti a noi cari, da autistici/inventati, dalla rete tor, da wikipedia.
Cosa ama fare la gente sulla rete nel 2008? Non imparare, non condividere la propria conoscenza, ma farsi vedere. Si aprono blog in cui si mette in mostra la propria vita privata, si creano reti sociali, si condividono gusti e interessi. In questo mondo, una pagina senza commenti (come riecheggia il titolo del libro) è come se non esistesse. Ciò che la gente ha da dire perde di importanza, ciò che conta è quello che gli altri pensano di ciò che viene scritto. Ed ecco nascere immensi social network, che contengono non si sa bene cosa.
Non ho mai bazzicato MySpace, non frequento nessuno che lo usi. Al momento di scrivere quest’articolo, ho deciso di andare a dare un’occhiata… Dalla home page si accede a decine e decine di blog, ma visitandoli sembra che non abbiano nulla da dire a un visitatore… "Io sono tizia, questi sono i miei interessi, questi sono i miei amici…" Come possono pagine del genere interessare a una persona che non ti conosce? L’arcano è presto svelato: non sono informazioni che debbano interessare alle persone, ma ai signori a cui MySpace le venderà a caro prezzo… sì, perchè dietro all’ingenuità e alla vacuità di molti c’è chi intasca milioni di dollari… Ma, come dicevo, questo pare non interessare quasi a nessuno.
Vedo che molti gruppi musicali giovanili mettono i propri brani su MySpace, e mi domando: come sarà gestito il copyright? Mi vado a leggere l’accordo di licenza del sito. "L’Iscritto mantiene ogni eventuale diritto sui propri Contenuti pubblicati sui Servizi MySpace". Perfetto, quindi se un brano è mio continua ad esserlo… ma i contratti vanno letti fino in fondo… "l’Utente concede a MySpace una licenza limitata per l’uso, la modifica, la rimozione, l’ampliamento, l’esecuzione o esposizione pubblica, la riproduzione e la distribuzione di detti Contenuti esclusivamente su o tramite i Servizi MySpace, compresa – a titolo esemplificativo e non limitativo – la diffusione parziale o totale del sito MySpace su qualunque supporto o formato e tramite qualunque canale mediatico". Come può la gente accettare una cosa simile? L’ho chiesto a un ragazzo che suona in uno dei detti gruppi. Mi ha risposto "Non so, è gratis. Ed è un modo di farsi vedere". E quanti sono coloro che sono disposti a regalare tanti diritti in cambio della gratuità di un servizio? 182’911’321. Sconcertante.
Ma torniamo al saggio. Lovink si scaglia apertamente contro la gratuità, in più di un punto. Ma vi si scaglia con un intento sbagliato a mio avviso. Egli contesta il fatto che non venga mai messo in discussione il modello economico che sta dietro al web 2.0: milioni di utenti felici e pochi che intascano tutti i soldi. Vedrebbe di buon occhio la fine dell’ideologia del free (parole sue) e la sua trasformazione in un modello economico sostenibile, che premi i dilettanti che pubblicano contenuti aiutandoli a diventare professionisti. Ora, questa secondo me è un’ottica del tutto sbagliata. Ciò che è in gioco non è il guadagno da parte dei blogger, ma la loro libertà, e la libertà delle informazioni che essi pubblicano. Nessuno garantisce che le informazioni che dette aziende hanno su di me non saranno usate contro di me prima o poi, così come nessuno garantisce che i contenuti che produco non saranno usati per fini che non approvo. O peggio, che fine farebbero i contenuti ritenuti "scomodi" da chi gentilmente mi ospita? La gratuità è un problema secondario, a mio avviso. Certo, se uno volesse guadagnarsi da vivere tenendo un blog, al giorno d’oggi incorrerebbe in numerose difficoltà. Ma reputo assai più importante che egli possa scrivere ciò che desidera, e decidere se e come distribuirlo, anche senza vedere un euro.
La parte in cui le mancanze si fanno più sentire, però, è quella in cui Lovink parla dell’Internet post-11 settembre, "condizione di libertà ma anche un rifugio per opinioni imbarazzanti", sostenendo che la svolta a destra della società sia in parte acuita dalla "struttura libertaria della rete". Ora, questo può anche essere vero, ma se la rete è libera e noi desideriamo che continui a esserlo è anche per poter esprimere liberamente le nostre opinioni, senza paura di censure. Questo ha l’effetto collaterale di dare questa facoltà anche a chi la pensa in maniera opposta a noi, ma è un compromesso che, personalmente, sono disposto ad accettare.
Prima di pensare a un modello economico sostenibile per il web 2.0, sarebbe bene garantire che le libertà di cui godiamo e per cui faticosamente lottiamo non corrano alcun pericolo. E la strada, per questo, temo sia lunga.
g.