Software Libero non è open source
Posted: April 22nd, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: L'empire des lumières | 5 Comments »
Non è facile mantenere saldi i propri principi in una società dominata dall’egoismo, dall’arrivismo e dall’utile a tutti i costi. A maggior ragione, non è facile mantenere questi principi quando si frequenta tutti i giorni un’università che, in maniera neanche troppo velata, mira a trasformare l’individuo in uno squalo, in una persona che persegua il business come fine ultimo della propria esistenza.
Sono uno studente di ingegneria informatica. Non so ancora se e in quale parte questa società riuscirà a piegarmi ai suoi principi. Quello che è certo è che, anche all’interno di uno spazio accademico, le mie idee non hanno vita facile come si potrebbe pensare.
Mi definisco sostenitore del software libero, così come sono sostenitore della libertà in altri campi.
Nel corso di fugaci rapporti con il mondo del lavoro, così come nelle ingerenze che questo ha avuto con l’università, mi sono dovuto confrontare con varie tipologie di personaggi. Da coloro che trattano il software libero come un giocattolo, denigrandolo, nascondendosi dietro a programmi proprietari costosissimi che spesso fanno da paravento a una loro neanche troppo ben celata incompetenza, a coloro che accettano il software open source, con i dovuti distinguo, laddove e soltanto nei casi in cui sia migliore di quello proprietario.
Tra gli studenti la situazione non è molto diversa. Al di là di quelli che, insicuri per natura, acquistano sicurezza schierandosi con le multinazionali e godono per ogni loro vittoria, la categoria che è maggioritaria è quella che usa software open source perchè funziona bene e permette di imparare di più, salvo poi tornare di corsa al software proprietario nei campi in cui questo offra ancora maggiori possibilità.
Notate come, a nessuna di queste persone, abbia messo in bocca le parole "software libero".
Perchè, certamente, l’open source e il software libero sono due filosofie che vanno di pari passo per molti aspetti. Entrambe combattono una "guerra" contro il software proprietario. Entrambe professano una maggiore apertura del codice. I presupposti che stanno alla base delle due, però, sono totalmente diversi. Il free software predica la libertà dell’utente, libertà che nessuno può limitare. L’open source accetta anche un approccio più liberale (termine scelto non a caso). Chi lo sostiene è convinto che il modello di sviluppo aperto sia migliore degli altri, e lo adotta per motivi puramente utilitaristici.
Fin qui nulla di male, entrambi cooperano all’apertura dei codici sorgenti, e nessuno dei due fa male all’altro. La chiave di lettura da applicare ai due movimenti, però, è un’altra, almeno a mio avviso.
A tal fine è utile la lettura del seguente articolo di articolo di Richard Stallman.
Cito dall’articolo:
Parlare di libertà, di problemi etici, di responsabilità così come di
convenienza è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere
ignorate. Questo può causare imbarazzo ed alcune persone
possono rifiutare l’idea di farlo.
L’open source è una definizione coniata per rendersi più appetibili alle aziende, che, così pare, non vedono di buon occhio la parola libertà, a differenza di un noto statista e imprenditore italiano. Parlare di libertà, potrebbe mettere a disagio aziende che con essa non hanno nulla a che fare, ma che, senza dubbio, avrebbero un grande ritorno d’immagine da un modello "open source"…
Queste aziende cercano attivamente
di portare il pubblico a considerare senza distinzione tutte le loro
attività. Vogliono che noi consideriamo il loro software non libero
come se fosse un vero contributo, anche se non lo è. Si presentano
come "aziende open source" sperando che la cosa ci interessi,
che le renda attraenti ai nostri occhi e che ci porti ad accettarle. Questa pratica di manipolazione non sarebbe meno pericolosa se fatta
utilizzando il termine "software libero". Ma le aziende non sembrano
utilizzare il termine "software libero" in questo modo. Probabilmente
la sua associazione con l’idealismo lo rende non adatto allo scopo.
Il termine "open source" ha così aperto tutte le porte.
L’open source è, insomma, un volto più amichevole verso la new economy, una definizione che non costringa, ogni volta che viene pronunciata, a domandarsi se, in effetti, ciò che si sta facendo sia etico.
Una definizione che, essendo priva di spunti etici, permetta agli utenti in qualsiasi momento, e senza alcuna remora, di tornare al software proprietario, qualora questo sia più adatto alle proprie esigenze. Rendendo ricche le aziende che hanno fatto di quest’apertura uno specchietto per le allodole.
E’ senza dubbio una cosa positiva che tante persone usino i programmi liberi, per studio o per lavoro. Ma il movimento del software libero è nato con precisi intenti etici e con lo scopo di garantire la libertà dell’utente. E questo, spesso colpevolmente, è un aspetto trascurato, non solo da chi avrebbe tutti i motivi per farlo, ma anche dagli utenti, che di questa libertà sono i principali beneficiari.
g.
un bel libro sull’argomento…
http://www.ippolita.net/onf
Caro g.,
Ignoravo completamente la differenza (neanche poi tanto sottile) tra open source e software libero.
Così come non sapevo pur frequentandolo che “myspace” si arrogasse così tanti diritti sui contenuti degli utenti, magari a loro insaputa.
Mi viene in mente una riflessione che abbiamo già fatto più con CRC: il problema è accontentarsi del prodotto migliore e più conveniente senza porsi domande sul perché sia così e su cosa questa scelta implichi.
Non vale solo per il software libero…ad esempio posso comprare delle mele coltivate in modo tradizionale direttamente dal contadino. Risparmio e sono anche più buone: però se mi fermo a questa constatazione (basilare e sacrosanta) e non vado oltre, cercando di capire perché la gente continui a comprare a caro prezzo manghi refrigerati dal Madagascar (con tutto il rispetto per i coltivatori di manghi del Madagascar), il mio gesto rimarrà all’interno di un orizzonte di consumo diverso da quello di massa ma non per questo critico.
Allo stesso modo si può usare l’open source: risparmio e funziona meglio, in un’ottica capitalista è cosa ottima…e il resto non mi interessa. In questo modo poi non trovo contraddizione nello sperare di farmi assumere a caro prezzo per blindare a mostro i codici di Windows 40.000 staminchia.
Ho afferrato bene il concetto?
Jack (profano assoluto)
Sì Jack la tua interpretazione è corretta… aggiungici che in più, se gli utenti non fanno propri i principi del software libero e non si convincono che essi siano effettivamente la soluzione da perseguire, ma ne fanno soltanto una questione di gratuità o di utilità momentanea, si troveranno in men che non si dica a usare nuovamente tecnologie proprietarie, qualora queste siano migliori per le proprie esigenze.
E lo stesso discorso si può fare al di fuori del mondo del software, per quasi qualsiasi ambito in cui esista un modello alternativo a quello dominante.
g.
Credo nel software libero.
Come etica e come movimento socio-culturale.
Tuttavia la questione è molto più delicata di quello che sembra.
Il movimento del free software nasce con l’intento di tutelare la libertà dell’individuo, e quindi non può che realizzarsi tramite l’apertura del codice. Non ne fa una questione di qualità, l’apertura è una conseguenza.
L’open source invece parte dalla pubblicità del codice come “paradigma di programmazione” per creare codice migliore o se non altro migliorabile dalla comunità, sposando anche l’ottica delle aziende.
Il codice proprietario a sua volta nasce per proteggere gli interessi del programmatore (o della software house) che sono spesso meramente di tipo pecuniario.
Credo che tutte tre queste strade abbiano un loro senso e diritto di esistere.
I problemi nascono al contorno, e non sono neppure trascurabili.
Forse il punto dolente della questione sta nel fatto che comunque un programmatore debba trovare modo di guadagnarsi da vivere, e nonostante io creda che sia possibile un modello economico sostenibile basato sul free software, una convivenza col modello della nostra società è difficilmente (pacificamente :D) realizzabile. Ma su questo punto la questione potrebbe essere parecchio lunga e complicata.
Ancora una volta quindi è la coscienza del singolo il vero problema di fondo. Personalmente trovo sbagliato denigrare chi utilizza software proprietario (se non per puro sadismo, si intende :P). Per fare un esempio potrei decidere di utilizzare un software proprietario particolarmente complesso per cui non esiste la controparte free e non avendo io stesso tempo e/o capacità per svilupparne uno. Certo dovrei in questo caso avere ben chiaro in mente che sto mettendo da parte il diritto di sapere cosa sto eseguendo. Tuttavia questo non è niente di straordinario. Dubito che chiunque sia mai salito su una giostra si sia fatto dare gli schemi di costruzione, semplicimente si sarà fidato del meccanismo che sta sotto.
Altre volte, e questo è ben più grave, siamo costretti ad usare software proprietari da terzi.
Tuttavia non è quello della necessità e della coscienza o ancora quello della costrizione il panorama che tipicamente ci troviamo di fronte, bensì quello di persone che per pigrizia e alle volte colpevole ignoranza rimangono sull’alternativa “comoda”.
Allo stesso modo al programmatore è richiesto una atto di coscienza qual’ora decida di produrre codice secondo una determinata linea di pensiero.
Per il momento concludo qui, anche se si potrebbe andare avanti per giorni, parlando di diritto di autore, libertà, e della definizione di libertà di berluscorama.
siel
Certo, tutti e 3 i modelli da te descritti hanno diritto di esistere.
A livello di principio, però, è giusto puntualizzare che due di questi modelli sono sbagliati, in un’ottica consona a questo spazio. Il modello del software proprietario è sbagliato per ovvie ragioni, quello dell’open source sbaglia completamente le finalità del proprio operato, finendo per diventare una bandiera dietro a cui possano sfilare coloro che vogliono speculare, senza, diciamo così, sporcarsi le mani. Mi dico contrario al software proprietario così come sono contrario alle multinazionali, agli stati di polizia, alle imposizioni in genere.
A un livello più vicino a noi, persone comuni, utenti perlopiù, quello che mi premeva sottolineare è come tra coloro, studenti e non, che si dicono sostenitori dell’opensource, le premesse e i valori etici siano quasi del tutto trascurati, a fronte di un oggettivo, ma spesso momentaneo, vantaggio. Senza aver ben chiari i principi che stanno alla base del software libero, anche un utilizzatore che da anni sostiene la comunità GNU/Linux le potrebbe voltare le spalle senza remore, se messo di fronte a un’offerta più vantaggiosa.
E tu sai bene a cosa mi riferisco 😛
g.