Che cos’è la sinistra italiana oggi?
Posted: April 24th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: La Sortie de l'école | 4 Comments »Iniziamo a guardare alla composizione dell’ultimo governo definito “di sinistra”: Per quanto riguarda l’economia Prodi, D’Alema, Veltroni rappresentavano scelte liberiste; Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani il contrario. Anche La Rosa del Pugno era liberista, i Verdi no, Mastella e Di Pietro non si sa esattamente (parlo di sinistra intendendo l’ultimo governo Prodi, ma molte persone che si qualificano di sinistra non lo definiscono come tale. Lo appella così invece Berlusconi, che quasi mai vi aggiunge “centro”, troppo lusinghiero dal suo punto di vista, quando non parla genericamente di comunisti).
Quanto al campo dei diritti civili, una parte della Margherita, insieme a Mastella, era avversa a PACS et cetera, contro tutti gli altri che erano invece a favore dell’allargamento dei diritti civili alle coppie di fatto. I DS, dal canto loro, cercavano la quadratura del cerchio: nonostante la parte a favore di un allargamento dei diritti civili apparisse sulla carta maggioritaria, le leggi da essa auspicate non hanno avuto esito.
Su temi quali sicurezza e immigrazione pareva non ci fossero grossi contrasti (Mastella raccoglieva voti dove il fenomeno migratorio è meno sentito), ma la caduta della legislatura ha bloccato la riforma della Bossi-Fini. A livello locale però, le linee seguite da Sindaci come Cofferati a Bologna o Domenici a Firenze mostrano anche qui un quadro variegato.
Per non dire delle scelte di politica internazionale, dove si andava dal D’Alema della guerra in Kosovo ai manifestanti a Vicenza.
In generale, accanto ad identità partitiche forti (Rifondazione) vi erano quelle settoriali (Verdi), personalistiche (Mastella, Di Pietro); vi erano poi partiti con un’identità divisa, perché inglobavano diverse tradizioni, come la Rosa Nel pugno e l’Unione. Quest’ultima, pur in continuo sviluppo, avendo cambiato quattro volte in quindici anni forma e nome, per arrivare oggi ad essere un americanizzato Partito Democratico, e pur tendendo sempre progressivamente verso al centro più per necessità che per scelta; quest’ultima è riuscita ad essere il secondo partito italiano per grandezza senza mai essere realmente protagonista al governo: i due governi di centro sinistra della seconda repubblica hanno sempre visto i partiti maggioritari in balia
di quelli minoritari.
Chiunque abbia votato per le coalizioni di centrosinistra negli ultimi anni, non ha sentito il governo a cui aveva dato il voto come suo: né chi ha votato per i “piccoli” (da Rifondazione a Mastella), né chi ha votato per i “grandi”.
Ma dal ’94 il centrosinistra rappresenta in sostanza l’eredità del vecchio “arco costituzionale” (in questo senso ciò che unisce la
destra è l’estraneità, se non l’avversione, ad esso: An per tradizione, Lega e FI perché salirono alla ribalta in funzione del disfacimento di quei partiti storici).
Ciò ha fatto sì che le cariche istituzionali (la presidenza della Repubblica e i funzionari dello Stato, per esempio una fetta importante della magistratura) siano state nella seconda repubblica suo appannaggio: è un fatto che i senatori a vita, in gran parte ex-capi di stato, abbiano tenuto in vita a lungo il secondo governo Prodi.
Così la sinistra rappresenta la tradizione primo-repubblicana e le alte istituzioni da una parte, il “movimento” dall’altra. Accademici settantenni e centri sociali, sindacati e industriali, logiche clientelari e associazionismo. Nostalgici di Berlinguer e di Craxi nella stessa formazione.
Quindi, che cos’è la sinistra oggi? Una prima risposta, salvo miracoli, attualmente è: nostalgia.
Nostalgia di un epoca che va dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista di Marx nel 1848 alle lotte sandiniste, da Turati a Berlinguer, da Mao a Renato Curcio, da Rosa Luxemborg ad Arafat. Dal Enrique Lister alla Teologia della liberazione. Nostalgia per la cultura militante, per il movimentismo e per l’internazionalismo, per Orwell come per Malcom X. Nostalgia per la lotta sociale, dall’occupazione delle fabbriche all’autunno caldo, e di una politica che si presentava come diretta emanazione di quella.
L’impressione è che dalla Bolognina la classe politica di sinistra abbia sempre più seguito come modello il liberal americano o il labour inglese, mentre il suo “popolo” ha conservato le istanze e i desideri di quella tradizione variegata e composita che, ben lungi da risolversi tutta nel marxismo, ha avuto il minimo comune denominatore nella definizione di antifascista.
Questa tradizione, però, ha fallito, quantomeno come prospettiva politico-economica. Il marxismo (o meglio, i fenomeni politici che tali si dichiaravano) che nella storia situava il suo banco di prova, proprio su questo banco ha fallito.
E, falliti i presupposti storici del marxismo, è scomparso l’orizzonte rivoluzionario. La sinistra italiana non aveva mai mancato di presupporre un fine nel proprio operato che non fosse rivoluzionario. Ci si divideva fra riformisti e rivoluzionari, certo, ma anche i riformisti avevano in mente una rivoluzione (nel senso di cambiamento radicale del sistema economico – politico): tutti volevano giungere alla società socialista. Turati come Ferri, Togliatti come Nenni; Gobetti come Gramsci e Ingrao come Ghisleri.
Già Saragat e in seguito Craxi, cambiarono parere, infine fu costretto a farlo anche il Partito Comunista Italiano, che divenne socialdemocratico quando ormai la socialdemocrazia era già in crisi in Europa.
La sinistra italiana dopo l’89 ha dovuto cercare un modello storico alla quale rifarsi. E questo modello lo ha dovuto cercare all’estero, sgretolatasi la tradizione comunista e rivoluzionaria che ha caratterizzato tutta la sua storia, con poche e minoritarie eccezioni.
E’ sintomatico di questa mancanza di un modello condiviso la scelta di Veltroni di rifarsi all’americano Obama in campagna elettorale, mentre la costituente del nuovo partito si accapigliava se inserire o meno Berlinguer, Craxi e Moro nel “Pantheon” della nuova formazione politica.
In mancanza di questo “Pantheon” condiviso, la soluzione – forse l’unica possibile – è stata importare dall’estero.
Né, a ben vedere, si è comportata diversamente la Sinistra Arcobaleno, i cui modelli storico-politici, più che alla storia della sinistra italiana, si sono rifatti alla nonviolenza ghandiana, a Zapatero e alle nuove figure carismatiche che sono sorte negli ultimi anni in America Latina.
Ciò che manca al PD, sia chiaro, è un modello per mobilitare il consenso elettorale, perché una classe dirigente da proporre al paese – che sia “policamente corretta”, e quindi liberista liberale e europeista – l’avrebbe già, da Padoa-Schioppa a Monti, da D’Alema a Montezemolo.
Dunque a domanda: “ che cos’è la sinistra?” la risposta “ è nostalgia” è giusta. Manca alla sinistra un sogno comune. Un modello condiviso.
Stefano
Ciao.
Ottima analisi, molto completa!
Quel che posso dire io, a partire dalla mia esperienza di miltante “critico” dei giovani DS prima e dei Giovani Democratici oggi (gentilmente ospitato dagli amici anarcosurrealisti!), è che alla sinistra italiana manca un partito socialdemocratico di stampo europeo. Certo, è un modello in crisi (vedi la sconfitta della Royal e la deriva guerrafondaia di Bair, ad esempio), ma qualche punto positivo chiaro ce l’ha: ad es. diritti civili (PACS, Fecondazione Assistita, leggi contro la discriminazione sessuale e di genere…); welfare più o meno ricco, ma presente e finanziato!; promozione delle donne e delle minoranze; multilateralismo e coooperazione in campo internazionale. Semplifico molto ovviamente…
Il punto secondo me è che il PD (al di là del nome, potevano chiamarlo anche Partito Menabelini Italiani Uniti) avrebbe dovuto tendere a un risultato del genere: invece per ora è un partito progressista di centro-sinistra, con grossi limiti sulle questioni di cui sopra (diritti civili e laicità dello stato su tutto).
Potrebbe diventarlo…tra parecchi anni, e parecchie batoste nelle urne e fuori.
Questo è il modello che mi sembra più praticabile per la sinistra italiana oggi, o quantomeno il più realistico da raggiungere concretamente.
Non è un proprio un sogno che mobilita le masse, però sarebbe più serio e più motivante anche per chi ci sta dentro (e questo posso garantirvelo!).
Mi fa molta tristezzza il fatto che non esista più una sinistra radicale rappresentata in Parlamento: l’auspicio che hanno in molti tra gli addetti ai lavori è che il PD si radicalizzi per portare dentro le istanze che sono rimaste fuori dal Palazzo.
Mi sembra francamente difficile.
La “sinistra” forse rimarrà dove è sempre stata: nelle strade, nelle piazze, nei movimenti,nell’associazionismo,
nella lotta sociale.
E continuerà a vivere, con sempre meno legami con la politica istituzionale…magari non è solo un male, che ne dite?
Jack Conti (diessino impenitente)
Io credo che la sinistra non sia “nostalgia”, nè ideologia come si evince dal tuo articolo e che sarebbe L’anti-comunismo per eccellenza.
Tu mi parli di uomini politici moderati, che sfruttano i motti di altri politici come Veltroni in campagna elettorale o di D’Alema che, se non sbaglio, presentandosi a Zapatero disse “io non sono comunista”. In queste persone, in questo minestrone di partiti stanchi che è il PD niente è di sinistra. E’ un centro dove io vedo tanta democrazia cristiana soprattutto nel modo di pensare. Oltretutto il programma del PD era molto simile a quello del popolo delle libertà. Molta demagogia da emtrambe le parti, abassamenti di tasse e incentivi sull’Ici. Queste sono caramelle dalla maestra bastarda, naturalmente il cittadino razionale non è andato a votare o a votato sinistra arcobaleno (visti i risultati “razionale” è una parola grossa).
E’ un peccato che quelli che Berlusconi chiama comunisti come chiamasse briganti non si sentano come tali e che la sinistra smetta di pensare alla Russia.
Io, sinceramente, la penso come l’arcivescovo di Kantembury (si scriverà così?) che prima di cambiare il mondo si deve partire a cambiare se stessi. E’ rozzo sperare che arrivi qualcosa o qualcuno che tiri tutti fuori dalla merda, è una mentalità da monarchia. Lo diceva anche Che Guevara che i popoli si liberano da soli che non esistono eroi che li traggono in salvo!
Sul comunismo chiudo con una frase di Marx:
“Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà comformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose permanente”
Credo che il messaggio sia chiaro.
Chiara
Intanto complimenti a Stefano per l’articolo. No so quanto sia estesa questa “nostalgia di sinistra”, che pure in parte condivido. A costo di dire una banalità, ogni giorno in strada, in università, nelle dichiarazioni dei politici ecc, riconosco invece uno spostamento deciso e generalizzato verso destra. Anche nell’uso ormai comune dell’espressione “sinistra radicale”, quando ciò che l’espressione descrive in alcuni casi è appena di sinistra. A mio avviso non c’è possibilità che il PD si “radicalizzi” più di tanto, come dice Jack, se non snaturando quelle poche istanze “radicali “che accoglierebbe. Non credo neanche che la soluzione stia nel trovare un “modello per mobilitare il consenso elettorale”, perché sarebbe in ogni caso troppo poco “di sinistra” per i miei gusti.
Per quanto possa essere d’accordo che il modello socialdemocratico sia “il più realistico da raggiungere concretamente” in Italia da parte delle forze di opposizione, questo mi lascia del tutto insoddisfatto.
CRC
Trovare un modello per mobilitare consenso elettorale non è una soluzione e non la volevo proporre come tale: la politica dei partiti è solo una parte del gioco, e forse nemmeno la più importante e decisiva. Il cambiamento dovrebbe essere sociale, intellettuale, culturale, economico, ecc ecc.
Però cercare un modello è necessario per i partiti di “sinistra”….e non solo per loro (altrimenti ci ritroviamo Silvio e company per i prossimi decenni!).
Il modello socialdemocratico lascia insoddisfatto anche me, soprattutto oggi che è diventato sinonimo di “moderatismo”, ma mi spiace che nel PD sia stato liquidato frettolosamente in favore di un generico “progressismo” non meglio definito. In fondo dove è stato applicato con decisione e capacità (Paesi Scandinavi,Inghilterra, Germania) ha significato una buona qualità della vita per ampi strati della popolazione e riforme egualitarie durature (ne sa qualcosa la Lady di Ferro che ha penato a smantellarle!).
Ripensarlo e attualizzarlo secondo me potrebbe essere un buon punto di partenza, non solo per vincere le prossime elezioni.
Jack Conti