Madre terra
Posted: May 24th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: Les fleurs de l'abîme | 2 Comments »arrivare fino ad un parcheggio sul mare invece di parcheggiare in alto e poi scendere a piedi come avevano sempre fatto. Ora così se il parcheggiatore ne ha avuto certamente un vantaggio, nel complesso ha perso qualcosa ogni attività commerciale del paese: da chi vendeva una bibita fresca durante il ritorno in salita ai venditori di souvenir. Anche il supermarket ha registrato un calo di vendite: forse è il passaggio su e giù del pick-up dell’albergo, i clacson dei motorini a noleggio, ma gli abitanti del paese comprano meno, quasi niente. La panetteria giorni fa ha chiuso e sembra che per un po’ nessuno se ne sia accorto. La proprietaria, si
dice che sia andata al nord, ma nessuno ne ha più saputo niente. Giusto ieri è venuto uno di una agenzia immobiliare e ha appeso un cartello Vendesi.
E’ notte, ma fa caldo come di giorno. Giuseppe è seduto sul ballatoio del suo appartamento con la camicia aperta e una lattina di birra tiepida in una mano. Il
blackout-out ha spento frigorifero e condizionatore. Sta guardando le luci del centro commerciale alla fine del quartiere, appena oltre il fiume macchiato di riflessi colorati. Sopra di lui, seduto dall’altra parte del ballatoio il suo amico e vicino Frank si fuma una sigaretta. Parlano così ogni tanto, ma non hanno gran che da dirsi. “E’ venuta?” aveva chiesto Giorgio “L’ho piantata, ma non è venuta”.
La famiglia Bràtlevicz se n’è andata l’altro giorno e il palazzo di fronte è rimasto vuoto. Passa qualche macchina, di là oltre il confine. Frank è uno in gamba, è arrivato anni fa e non è più tornato indietro. Si era fatto una posizione nel quartiere prima del collasso della centrale… “E da te è venuta?” “Macché. Quest’anno niente fiori.”
Ieri aveva trovato un cane che aveva messo la testa dentro un barattolo di latta ed era morto soffocato, ma non ne voleva parlare. “Ah” disse Giuseppe “Abbiamo fatto una festa l’altra sera, abbiamo suonato con Akim e la ragazza, come si chiama, quella che suona il basso… Abbiamo messo in comune e ci siamo rilassati un po’, e anche raccolto qualcosa per i ragazzi della scuola. Akim è migliorato, sai? Adoro la sua musica…” “Già” “Certo che è strano…” “Cosa?” “Per i fiori.” “Tanto non si vende più: adesso va il sintetico” “Non per me, ma proprio ora che i prezzi salgono doveva capitare!” “Saliranno ancora i prezzi, saliranno finché ce n’è sempre di meno, e poi non ce ne sarà più .”
***
Un uomo è seduto nell’ingresso di un piccolo commissariato di provincia. Si chiama Aldo Dabove, ed è il proprietario dell’unico negozio di alimentari di un paese sulle montagne; con sé ha portato il libro mastro della sua attività, fasciato in una copertina di plastica e fitto di segnalibri. Quella mattina è salito sulla corriera che porta in città deciso a riferire al commissario una circostanza che lui stesso, nonostante le prove raccolte, fatica a credere vera: è costretto a chiudere. Lungo il viale che va dal parcheggio delle corriere alla piazzetta dove si trova la centrale si è fermato alcune volte a guardarsi intorno, ma per strada c’erano soltanto due vecchie signore che in un atto di quieto eroismo avevano deciso di fare una passeggiata. Non c’era un bar lì intorno, qualche anno fa? Sulla sedia Aldo si toglie gli occhiali per asciugarsi la faccia dal sudore. Il ronzio dei ventilatori soffoca i rumori degli uomini che lavorano nelle altre stanze; una voce sta parlando al telefono.
Fuori il caldo è irresistibile: tra gli alberi della piazza il frinire delle cicale lo fa sembrare ancora più pesante. E da quando, in città, sono tornate le cicale?
***
A scuola si ricordavano di lui perché per due anni gli aveva fatto credere di avere in casa una pistola, ma ormai aveva smesso di andarci. Era appena arrivata la
primavera e già cadeva da tre giorni una pioggia sottile e orribile. Arrivava in città girando intorno alle enormi rotonde della tangenziale. Pochissime macchine. Usciva presto, così non c’era molto da aspettare. Sullo sfondo, verso il centro, si alzava la grande vela di cemento e luci degli uffici dove lavora la maggior parte della gente intorno a casa sua. Due bambini correvano lungo la ferrovia cercando un buco nella recinzione sotto gli occhi delle guardie. Stavano tutti zitti, i baristi che andavano ad aprire i bar, i distributori dei giornali, il venditori di biglietti della stazione degli autobus, due operai del comune nei giubbotti arancioni. Lui invece aveva una lingua magica. Poteva trasformare le cose. Però in questo paese non la poteva parlare.
Oltre il checkpoint c’erano le case. C’era traffico per via della pioggia. Quasi subito
trovò i resti di un frigorifero che si era sfasciato lungo la scala di un palazzo andato a fuoco. Chissà da che piano era caduto… Prese dal mucchio di ferraglia un tubo curvo e ammaccato, che sembrava una zucchina, e lo mise nello zaino. Trovò anche un coso di plastica molle che poteva dar da mangiare al cane: il raccolto cominciava bene. Più avanti la strada seguiva un fiume di scarichi che coprivano a chiazze anche il marciapiede. I tombini erano intasati di schegge di cemento e mattoni, ma si trovavano anche pezzi meccanici, tutte cose che venivano dalle case. Raccolse un paio di viti infilando le dita nell’acqua. Se ne avesse trovate abbastanza le
avrebbe trasformate in un piatto di pasta. Qualche volta scendeva nelle fogne perché era meno pericoloso che girare per le strade. E da un po’ di tempo non c’erano neanche più i topi a dare fastidio. Morti, lo sapeva lui, non di peste, ma perché loro non trovavano nulla da mangiare.
Carlo
La morte delle periferie e dei piccoli paesi, la speculazione edilizia, la miseria del sottoproletariato…quattro flash molto allusivi ed essenziali per raccontare le ferite inferte alla nostra Madre Terra.
Mi sembra che sia ambientato in un futuro prossimo (i fiori che non crescono più, il checkpoint nel finale…) o sbaglio?
Forse le storie sono tutte collegate in qualche modo a parte il tema comune, ma non capisco bene come…
Sì, ho immaginato queste quattro scene in luoghi non troppo lontani da quello in cui viviamo, nel tempo o nello spazio… C’è un’altra cosa che collega le storie, ma è sempre nel tema, un particolare che nella mia intenzione aggiunge un significato al titolo e volendo approfondisce anche quello che il racconto contiene come criticà della società. Ma non ti dico cosa!
Grazie, CRC