Posted: April 24th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: Les fleurs de l'abîme | Comments Off on Burqa
Come fai a guardare il mondo da dietro
quel velo
donna?
credo sia sempre nero
il cielo
da dietro il velo
donna.
non si respira con quel coso addosso
che non ci sono parole a descriverlo
degnamente
non si può.
una ragazza alla biblioteca di
Alessandria mi tocca i capelli
la guardo e mi impaccia perché
non posso vederla
ha il Burqa
la lascio fare
le chiedo se è libera o
obbligata
lei alza il drappo, mi punta gli occhi
addosso, neri
e risponde:
Sono afgana
Chiara
Posted: April 24th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: Les fleurs de l'abîme | Comments Off on Senza titolo
Mentre entravo nell’appartamento
vuoto con te
Ho guardato subito l’altezza delle
porte
Mentre ti sentivo parlare di spese
condominiali e bagni da rifare
Ho guardato subito se c’era una
seconda camera da letto
Mentre ci guardavi con l’aria
professionale dell’agente immobiliare
Pensavo a noi in quella casa.
Mi vedevo signora con le buste della
spesa e i figli da prendere a scuola
Mi sentivo libera.
Mi pensavo signora borghese con figli e
marito
Sono rabbrividita
Ho cercato fin’ora di passare alla
storia
Fare qualcosa di grande, restare in
memoria
Ora mi chiedo per chi? Per che cosa?
Mentre mi vedevo prepararti la cena
Il mondo è diventato perfetto
Mentre mi vedevo vestire nostro figlio
Mi sentivo serena
Ho cercato fin’ora di passare alla
storia
Oggi a essere tua
Ci metterei la firma
Chiara
Posted: April 22nd, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: L'empire des lumières | 5 Comments »
Non è facile mantenere saldi i propri principi in una società dominata dall’egoismo, dall’arrivismo e dall’utile a tutti i costi. A maggior ragione, non è facile mantenere questi principi quando si frequenta tutti i giorni un’università che, in maniera neanche troppo velata, mira a trasformare l’individuo in uno squalo, in una persona che persegua il business come fine ultimo della propria esistenza.
Sono uno studente di ingegneria informatica. Non so ancora se e in quale parte questa società riuscirà a piegarmi ai suoi principi. Quello che è certo è che, anche all’interno di uno spazio accademico, le mie idee non hanno vita facile come si potrebbe pensare.
Mi definisco sostenitore del software libero, così come sono sostenitore della libertà in altri campi.
Nel corso di fugaci rapporti con il mondo del lavoro, così come nelle ingerenze che questo ha avuto con l’università, mi sono dovuto confrontare con varie tipologie di personaggi. Da coloro che trattano il software libero come un giocattolo, denigrandolo, nascondendosi dietro a programmi proprietari costosissimi che spesso fanno da paravento a una loro neanche troppo ben celata incompetenza, a coloro che accettano il software open source, con i dovuti distinguo, laddove e soltanto nei casi in cui sia migliore di quello proprietario.
Tra gli studenti la situazione non è molto diversa. Al di là di quelli che, insicuri per natura, acquistano sicurezza schierandosi con le multinazionali e godono per ogni loro vittoria, la categoria che è maggioritaria è quella che usa software open source perchè funziona bene e permette di imparare di più, salvo poi tornare di corsa al software proprietario nei campi in cui questo offra ancora maggiori possibilità.
Notate come, a nessuna di queste persone, abbia messo in bocca le parole "software libero".
Perchè, certamente, l’open source e il software libero sono due filosofie che vanno di pari passo per molti aspetti. Entrambe combattono una "guerra" contro il software proprietario. Entrambe professano una maggiore apertura del codice. I presupposti che stanno alla base delle due, però, sono totalmente diversi. Il free software predica la libertà dell’utente, libertà che nessuno può limitare. L’open source accetta anche un approccio più liberale (termine scelto non a caso). Chi lo sostiene è convinto che il modello di sviluppo aperto sia migliore degli altri, e lo adotta per motivi puramente utilitaristici.
Fin qui nulla di male, entrambi cooperano all’apertura dei codici sorgenti, e nessuno dei due fa male all’altro. La chiave di lettura da applicare ai due movimenti, però, è un’altra, almeno a mio avviso.
A tal fine è utile la lettura del seguente articolo di articolo di Richard Stallman.
Cito dall’articolo:
Parlare di libertà, di problemi etici, di responsabilità così come di
convenienza è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere
ignorate. Questo può causare imbarazzo ed alcune persone
possono rifiutare l’idea di farlo.
L’open source è una definizione coniata per rendersi più appetibili alle aziende, che, così pare, non vedono di buon occhio la parola libertà, a differenza di un noto statista e imprenditore italiano. Parlare di libertà, potrebbe mettere a disagio aziende che con essa non hanno nulla a che fare, ma che, senza dubbio, avrebbero un grande ritorno d’immagine da un modello "open source"…
Queste aziende cercano attivamente
di portare il pubblico a considerare senza distinzione tutte le loro
attività. Vogliono che noi consideriamo il loro software non libero
come se fosse un vero contributo, anche se non lo è. Si presentano
come "aziende open source" sperando che la cosa ci interessi,
che le renda attraenti ai nostri occhi e che ci porti ad accettarle. Questa pratica di manipolazione non sarebbe meno pericolosa se fatta
utilizzando il termine "software libero". Ma le aziende non sembrano
utilizzare il termine "software libero" in questo modo. Probabilmente
la sua associazione con l’idealismo lo rende non adatto allo scopo.
Il termine "open source" ha così aperto tutte le porte.
L’open source è, insomma, un volto più amichevole verso la new economy, una definizione che non costringa, ogni volta che viene pronunciata, a domandarsi se, in effetti, ciò che si sta facendo sia etico.
Una definizione che, essendo priva di spunti etici, permetta agli utenti in qualsiasi momento, e senza alcuna remora, di tornare al software proprietario, qualora questo sia più adatto alle proprie esigenze. Rendendo ricche le aziende che hanno fatto di quest’apertura uno specchietto per le allodole.
E’ senza dubbio una cosa positiva che tante persone usino i programmi liberi, per studio o per lavoro. Ma il movimento del software libero è nato con precisi intenti etici e con lo scopo di garantire la libertà dell’utente. E questo, spesso colpevolmente, è un aspetto trascurato, non solo da chi avrebbe tutti i motivi per farlo, ma anche dagli utenti, che di questa libertà sono i principali beneficiari.
g.
Posted: April 21st, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: L'age d'or | 2 Comments »
« La
terra dell’abbondanza »
regia
di W. Wenders, USA 2004
Los Angeles, settembre 2003.
Ieri il Vietnam, oggi la guerra al terrorismo.
Ieri giovani come carne da macello, oggi…anche. E non solo.
Lo sguardo indagatore di uno di quei tanti giovani sopravvissuti allo sperimentato risiko di pochi, oggi si aggira per le strade americane cercando, scovando ad ogni angolo il “male”, la “minaccia” dentro lo sguardo di chi, innocente, cerca invece di sopravvivere in quella che pensava la terra delle opportunità, la “Terra dell’abbondanza” e che, al contrario, gli offre solo asfalto freddo e una pallottola al petto.
Ieri giovani che alzavano il proprio grido di dissenso alla morte, alla distruzione della guerra, oggi una giovane donna, figlia di chi ha preferito offrire la propria solidarietà alle vittime del potere e dell’odio sparse per il mondo.
Continuo, l’inno americano fa da colonna sonora all’altra faccia dell’America;
agli incubi di guerra;
ai volti infreddoliti avvolti nei cartoni;
alle code per un pasto caldo;
Il coraggio spettatore di una ragazza, scorre i destini, apparentemente così differenti ma infondo così simili, di chi si trascina i traumi di un passato che non lo abbandona dentro una vita sempre uguale e di chi cerca di sopravvivere nell’oggi alla barbarie della cosiddetta civiltà.
Venture simili perché costrette a vivere la medesima realtà che però separa, inimica, nasconde, al fine di continuare il proprio sporco gioco fondato sulla demonizzazione dell’altro che diventa il nemico, oscurando così il vero colpevole, il quale non si ritrova certo in chi è costretto a vivere la stessa identica nera esistenza.
Intreccio che sa scovare il profondo della realtà americana di oggi senza dimenticare di tendere lo sguardo “al di fuori”.
Colonna sonora che sa cullare in modo armonioso lo svolgimento.
Inoltre alcuni “piccoli” ma notevoli richiami simbolici e un risaltante intreccio di luci e colori.
Lisa
Posted: April 20th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: La Sortie de l'école | 4 Comments »
“Mi si dice che da anni, nel mondo dei liberi, i pentiti di vario tipo della lotta armata premiati dallo Stato (dai delatori ai semplici abiuranti) amano ripetere a tutti: meno male che abbiamo perso”.
Vincenzo Guagliardo, membro delle BR e attualmente detenuto, trova in queste parole un significato più sottile, appartenente ad una precisa impostazione di pensiero: “chi è per il cambiamento”, scrive, “ovvero si ritiene ‘rivoluzionario’, dovrà sempre riconoscere di non aver mai raggiunto la perfezione, e perciò dovrà accettare la verità che si vada sempre avanti da un errore all’altro”, di sconfitta in sconfitta.
Il primo punto della riflessione di Guagliardo, che investe direttamente anche la sua maturata posizione rispetto alla militanza nelle BR, è dunque una demistificazione dell’ideologia.
Ogni sistema ideologico tende a costituirsi come unico, esclusivo, e dunque a porsi in conflitto con ogni altro sistema e a generare relazioni di potere. Questo avviene allo stesso modo per le ideologie autoritarie come per quelle della rivoluzione. Per Guagliardo, la capacità di riconoscere e vivere la sconfitta corrisponde alla rinuncia alla pretesa di avere con sé ogni verità (o ogni eresia) ed è l’unica base passibile per il cambiamento. Dunque, il primo nemico di ogni movimento rivoluzionario sono le sue stesse tendenze autoritarie, che germinano dalla incontrovertibilità delle proprie pratiche e delle proprie idee.
A maggior ragione se un movimento ricorre alla violenza, che è sempre la violenza della repressione. Guagliardo individua nella rivolta violenta quello stesso rito del sacrificio che è il principio fondamentale delle strutture di potere.
Fascisti, nazisti e, in modo diverso, alcuni filoni anarchici, hanno invece “ravvisato una funzione catartica nella violenza reattiva, creatrice perciò di relazioni umane e solidali di fronte al pericolo”. Anche le Brigate Rosse, scrive Guagliardo, implicitamente e senza rendersene conto, hanno adottato “non solo una tattica ma l’intero modo di pensare di quella cultura i cui frutti contestavamo”. La lotta, rivoluzionaria o di semplice contestazione, se è combattuta sullo stesso piano delle forze contro cui si confronta (prima di tutto, il piano della repressione), non solo non è efficace, ma anzi si configura come un elemento favorevole alla reazione. Continua Guagliardo, citando Emilio Lusso in Teoria dell’insurrezione (Milano 1969): “nessuno può condannare chi, in un momento di oppressione politica, si renda giustizia da sé. Ma il terrorismo politico organizzato è una deviazione della lotta politica. Esso ne costituisce la forma primitiva, lo stadio inferiore. […] Un movimento rivoluzionario deve rinunciare ad ogni azione terroristica”. E infatti sappiamo che questo tipo di terrorismo, quando manca a sinistra, spunta fuori dall’altra parte, al soldo dei poteri forti.
L’aderenza dei gruppi rivoluzionari alle logiche delle strutture di potere, prima di tutto impedisce il pensiero critico: “che peso può avere, in un’organizzazione che combatte, il dubbio, oppure il pensiero problematico? Questa esigenza può solo autoreprimersi o essere emarginata.” E in questo modo ogni potenziale rivoluzionario è sostanzialmente soffocato. Oppio non è solo la religione, ma “ogni -ismo”, ogni ideologia.
Ciononostante, questo genere di formazioni ideologiche suscitano non poca “simpatia”. Qui Guagliardo per descrivere questa fascinazione a livello dei movimenti rivoluzionari, paragona questi ultimi a Robin Hood: “Robin Hood viene facilmente applaudito perché è evidente che non sei chiamato a fare come lui ma è lui che fa per te. Tu non puoi seguirlo giacché la sua pratica richiede capacità, disponibilità e mancanza di legami che tu, popolano, non ti puoi permettere… Ma allora cos’è che in realtà ti dà Robin Hood? Ben poco, se si va a vedere: forse solo la soddisfazione del sentimento di vendetta, ossia un’emozione elementare che rischia di fermarsi al risentimento contro i potenti”.
Con questa analogia Guagliardo mette in guardia contro la passività degli attivisti, nella partecipazione alle lotte rivoluzionarie. Una passività molto pericolosa, che corrisponde ad una cessione di responsabilità: “l’azione armata, con la sua selettività, oscura questo aspetto tipico della moderna società atomizzata in tutti i suoi rapporti sociali: assolve, verso il basso, ognuno dalla sua micro-responsabilità di servo volontario facendo così scomparire la visione del più grande tiranno mai esistito”.
Ma se la lotta armata quale metodo rivoluzionario conduce ad esiti reazionari, non per questo si può giustificare la passività conformista o la partecipazione convinta alla gestione del potere. Guagliardo ci ricorda, infatti, che “il non violento è tale solo quando rischia più del violento”.
Carlo
Vincenzo Guagliardo, Di sconfitta in sconfitta, Vincenzo Guagliardo, La Grafica Nuova, Torino 2002.
Posted: April 20th, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: Les fleurs de l'abîme | 1 Comment »
(Im)
probabile sogno
Nuotavo in uno specchio
come fossi argento strano
liquefatto da uno scherzo
o da una stanca mano:
richiesta d’aiuto
per un domani vecchio
con la consapevolezza
di non arrivar lontano.
Jack Conti
"(Im)probabile sogno" è una fantasia basata su
scampoli di sogno, un modo per giocare con la parole.