Dalla parte sbagliata

Posted: May 8th, 2008 | Author: | Filed under: La Sortie de l'école | 11 Comments »

 

 

Guagliardo scrive: “Una società ancorata all’ideologia produttivista […] conosce solo il principio del successo individuale, riservando alla sconfitta i regni dell’oblio e/o della vergogna”.

 

L’accento qui, più che sulla lotta e sull’ingiustizia che conosciamo,  è sulla sorte, e più ancora sulla funzione, dello sconfitto. Dalla spietata competizione nel “mondo del lavoro”, alle torture subite e al silenzio che viene imposto alle vittime del sistema carcerario, fino alla patologizzazione della devianza sociale, assistiamo in ogni campo ad un rifiuto ed una rimozione sistematica del perdente, di chi per scelta o per incapacità non entra a fa parte del sistema “normale”, che altro non è se non il sistema dominante.

Questo sistema non solo esclude i “perdenti”, ma è fondato su questa esclusione, che Guagliardo definisce come il “rito del capro espiatorio”. Ad esempio, il sistema penale ha la funzione di definire il crimine, e dunque lo crea “al fine di cementare moralmente la società al rito del capro espiatorio e di avere una ‘delinquenza maneggevole’ (Focault), che giustifichi il controllo sull’intera popolazione”. Il criminale è il capro espiatorio che giustifica l’esistenza, e l’ingiustizia, dell’intero sistema.

Il sistema penale dunque, prima ancora di essere un apparato repressivo dello stato, va combattuto nella sua forma di ideologia. Basta pensare come la percezione della criminalità sia costantemente e intenzionalmente distorta a vantaggio dei criminali di maggior caratura attraverso l’adozione a “capro espiatorio” dei piccoli delinquenti, e dall’abuso della cronaca nera. Niente di molto diverso avviene nei confronti dei falliti di altra natura, attraverso altre forme, più o meno sottili di discriminazione culturale, economica, sessuale.

 

Dunque la società per Guagliardo si raccoglie, nasce,  attraverso questi violenti riti di esclusione, in un modo non diverso da quanto descritto da Elias Canetti in Massa e potere.

Si torna così al problema della violenza, che Guagliardo ha già affrontato in Di sconfitta in sconfitta, sostenendo che l’uso della violenza non può avere altro esito che la conferma o la creazione di un potere oppressivo. Da questo fatto, Guagliardo derivava la necessità per ogni movimento rivoluzionario di adottare metodi non violenti.

Chi pratica un comportamento violento sottomette le proprie responsabilità allo scopo che intende raggiungere. Al contrario la forma base dell’azione non-violenta consiste nell’obiezione di coscienza in quanto essa non ammette questa sottomissione. Allo stesso modo chi acconsente, anche solo rinunciando ad opporsi, ad un sistema basato sulla violenza, inevitabilmente accusa e aggredisce chi non può o non vuole farne parte. Così il violento come l’indifferente sono entrambi coinvolti nella violenza della discriminazione.

Attraverso questi argomenti Guagliardo giunge quindi ad individuare nel consenso, prima ancora che nella violenza, l’elemento generatore dell’oppressione: “il potere non nasce dalla violenza, ma dal consenso, più precisamente dalla servitù volontaria”.

L’obbiettore, ovvero il rivoluzionario non violento, è dunque innanzitutto colui che nega il suo consenso ponendosi al di fuori della massa dei “vincitori” e di chi si ritiene nel giusto solo perché accetta un sistema condiviso. Ma proprio per questo il rivoluzionario si troverà ad essere uno sconfitto, un emarginato e perfino un anormale, perché tale è effettivamente secondo le coordinate del sistema che vuole combattere.

Spesso però pur di partecipare in qualche modo alla vita politica o sociale così come essa è strutturata  si è tentati da una soluzione più facile e “si cambia causa quasi senza rendersene conto”. Col risultato paradossale che a volte anche la validità di idee rivoluzionarie è giudicata in base al successo sociale di chi le professa.

Carlo

Vincenzo Guagliardo, Resistenza e suicidio. Appunti politici sulla coscienza, Edizioni Colibrì, Torino 2005.

 


11 Comments on “Dalla parte sbagliata”

  1. 1 g. said at 10:43 on May 8th, 2008:

    Molto interessante e molto attuale, mi pare che l’analisi di Guagliardo prosegua quanto già visto nel tuo precedente articolo, ponendo un punto a mio avviso fondamentale: il rifiuto dello stato di cose e l’obiezione di coscienza non è soltanto un modo per differenziarsi e per essere in pace con sè stessi, ma è anche il principio per qualsiasi discorso critico e costruttivo sia in ambito politico che sociale.

  2. 2 anarcosurr said at 10:01 on May 9th, 2008:

    Grazie Gian, il tuo commento evidenzia un problema di cui Guagliardo non parla direttamente. Non credo che esista chi fa attività politica o di critica al sistema esclusivamente per differenziarsi o per essere in pace con se stesso, anche se in molti casi ci si avvicina. Questo potrebbe derivare da una scarsa indipendenza di pensiero. Quando si abbraccia un’ideologia, per quanto condivisibile, c’è sempre il rischio di rimanere chiusi nel sistema di pensiero che essa costituisce e di fatto pensare e agire più in modo tale da perpetuare tale ideologia che da modificare effettivamente la società. In questo senso ogni ideologia è un sistema di pensiero violento – non perché implichi il ricorso alla violenza, ma perché usa violenza nei confronti degli altri pensieri. Ovviamente non si può fare a meno del tutto di sistemi di pensiero e ideologie, perché essi si formano naturalmente, ma è importante cercare di mantenere il più possibile aperto il proprio pensiero, e anche la propria pratica politica (in senso esteso). Come si deve criticare il sistema dominante si deve cercare di criticare ogni sistema.

    CRC

  3. 3 CRC said at 13:34 on May 9th, 2008:

    Parole del capo dello stato, pronunciate alla commemorazione di Moro, oggi 9/5.
    “Lo Stato democratico, con il suo sistema penale e penitenziario, si è mostrato in tutti i casi generoso [con i terroristi]. Ma gli ex terroristi non avrebbero dovuto avvalersi dei benefici ottenuti per dare le loro versioni dei fatti…”
    “Chi ha regolato i propri conti con la giustizia ha il diritto di reinserirsi nella società, ma con discrezione e misura e mai dimenticando le sue responsabilità morali anche se non più penali […] Per queste ragioni si doveva e si deve dare voce non a chi ha scatenato la violenza terroristica, ma a chi l’ha subita, a chi ne ha avuto la vita spezzata, ai familiari delle vittime e anche a quanti sono stati colpiti sopravvivendo ma restando per sempre invalidati. Si deve dar voce a racconti di verità sugli ‘anni di piombo’ ricordando quelle terribili vicende come sono state vissute dalla parte della legge e dello Stato democratico e dalla parte di un’umanità dolorante, i familiari delle vittime, tutti coloro che sono stati colpiti dallo stragismo e dal terrorismo”.
    E Caino non deve parlare.

  4. 4 Jack Conti said at 17:40 on May 10th, 2008:

    Ciao.
    Secondo me nelle parole di Napolitano c’è anche del buonsenso. Penso sia giusto stare prima di tutto dalla parte delle vittime. Vittime sono stati gli agenti della scorta di Moro, chi aspettava il treno alla stazione di Bologna, gli uccisi negli agguati e negli scontri di piazza. I terroristi di ogni colore sono stati carnefici (in buona compagnia di uomini delle forze dell’ordine e di apparati dello Stato), ed è importante secondo me ascoltare la versione dei carnefici per ricostruire la storia di quegli anni e per capirci davvero qualcosa.
    Perciò penso ci sia il diritto per loro di parlare e raccontare le proprie esperienze e la propria versione dei fatti, ma sempre a partire dal rispetto dei morti e di chi è rimasto oggi a piangerli. Personalmente sono felice del fatto che gli ex-BR e gli ex-neofascisti siano cambiati e si impegnino nel sociale, nel volontariato e nella politica. Però penso anche sia giusto gestire questo impegno pubblico “con discrezione e misura”. Cosa che a volte non è successa: mi vengono in mente le dichiarazioni del latitante Achille Lollo sul rogo di Primavalle.
    Credo veramente che Caino non debba essere toccato, ma mi
    sembra altrettanto giusto privilegiare la memoria di Abele. Sempre, in ogni circostanza, non solo in questo caso.

  5. 5 CRC said at 18:46 on May 10th, 2008:

    Ciao Jack,
    “Privilegiare la memoria di Abele”, purché questo non comporti una distorsione dei fatti. Questo criticavo nelle parole del presidente della repubblica, non tanto che le vittime venissero rispettate, e chi non vuole?, ma che non venisse riconosciuta l’importanza del dialogo con l’altra parte, per quanto possa essere difficile, doloroso, e per quanto cinismo sia necessario. La vita si sa non è rose e fiori. E il dolore deve essere rispettato, ma non cura. Queste vicende non possono e non devono essere ridotte al dolore per le vittime.
    Mi piacerebbe sapere se la tua critica investe anche il testo dell’articolo e in che modo… grazie dei commenti, sempre intelligenti e stimolanti.

    Carlo

  6. 6 Jack Conti said at 21:44 on May 10th, 2008:

    Il mio commento era riferito al tuo commento con la citazione di Napolitano, non al testo dell’articolo che condivido e sottoscrivo!
    Neanch’io penso che quelle vicende tragiche possano venire ridotte al dolore per le vittime, e che il rispetto del dolore possa stroncare il dibattito. Però penso che spesso il dolore delle vittime non sia stato rispettato da alcuni “protagonisti negativi” di quelli anni che si sono lasciati andare a esternazioni a ruota libera per esibizionismo, convenienza, fanatismo o per altri mille motivi. In questo senso ritengo sensato il richiamo di Napolitano alla misura, per il resto penso anch’io che il dialogo con i “carnefici” e la loro memoria personale siano elementi fondamentali non solo per ricostruire quegli anni ma anche per chiudere definitivamente le ferite che hanno aperto. Non concordo affato con l’idea che non si debba dar loro voce, ma forse in un momento doloroso come l’anniversario della strage di Via Fani era giusto
    privilegiare le ragioni e il racconto dei parenti delle vittime rispetto a quelle di chi ha ammazzato quei ragazzi e Moro.
    Ovviamente è solo un’opinione. ..

  7. 7 CRC said at 19:43 on May 11th, 2008:

    Effettivamente aspettarsi un comportamento diverso da parte del capo dello stato, anche tenendo conto dell’occasione, non era possibile… Ma resta fermo il principio.
    Mi sembra poi che il discorso andasse un po’ al di là del giorno della commemorazione…
    In effetti non credo che lo stato possa davvero assolvere a quel dovere civile che è fare luce in modo profondo e libero su questi avvenimenti.
    Questo perché anche lo stato usa la violenza, di sangue e di pensiero.

    Carlo

  8. 8 Jack Conti said at 20:52 on May 11th, 2008:

    Hai introdotto una problematica veramente complessa e difficile…materia per contributi futuri?

    Jack

  9. 9 anarcosurr said at 11:50 on May 15th, 2008:

    Ciao Jack!

    Dicendo che lo stato non abbia la capacità, e nemmeno la funzione, di fare luce su avvenimenti storici, specie quelli che lo riguardano intimamente, non mi sembra di dire niente di originale né di particolarmente eversivo. E’ lavoro degli storici.

    La violenza “di sangue” dello stato mi sembra ugualmente evidente, e non bisogna pensare a singoli casi di abuso, ma al fatto che sia costitutivamente ammessa e predisposta (e in molti casi persino richiesta e fomentata dai cittadini). Meno pesante almeno per ora, è l’uso della violenza contro le idee, e anche qui è bene non lasciarsi prendere dai singoli casi, ma considerare il sistema in generale.
    Tuttavia, specie parlando di violenza di pensiero, mi rendo conto di aver usato il termine “stato” impropriamente. Con esso volevo in realtà indicare qualcosa di molto più ampio, che, per restare all’interno dell’articolo, si può far corrispondere al sistema dei vincitori. Ma in effetti ci sarebbero molte altre cose da dire…

    CRC

  10. 10 Jack Conti said at 15:03 on May 19th, 2008:

    L’idea in sé non è nuova.
    Ma articolarla, spiegarne i meccanismi e ragionare sulle alternative possibili (es. se può esistere un tipo di stato/organizzazione sociale/sistema basato sulla trasparenza e la pubbicità) secondo me é una problematica complessa e difficile.

  11. 11 Valentina said at 17:10 on June 2nd, 2008:

    Quando il partito
    della rivoluzione
    divorò
    i suoi rivoluzionari
    la maggior parte gridò
    per l’ultima volta
    “Viva il partito!”

    Alcuni gridarono
    per lealtà
    per la stessa
    maledetta lealtà
    grazie alla quale il partito
    poté trasformarsi
    nel carnefice dei propri uomini
    senza esserne
    annientato
    al momento giusto

    Altri gridarono
    “Viva il partito!”
    nella speranza
    che quel grido di morte
    insegnasse ai posteri
    quanto fosse ingiusto il partito
    a uccidere
    in quei giorni
    coloro della cui vita viveva

    Alcuni gridarono semplicemente
    perché gli avevano
    spiegato
    che il partito
    avrebbe divorato
    anche le loro mogli e i loro figli
    se non avessero gridato
    quel che ordinava il partito

    Ma alcuni
    forse
    quelli senza moglie e figli
    e senza altri ostaggi
    in potere dei loro assassini
    non gridarono “Viva il partito!”
    ma dissero o lasciarono scritto:
    “Prendete partito per la rivoluzione
    e per i suoi rivoluzionari
    ma non prendete mai più partito
    per un partito”

    di Erich Fried