Appunti da Herbert Marcuse, L’autorità e la famiglia, Einaudi, Torino 1960.
Dal 1930 l‘Institut für Sozialforschung con Horkheimer, Marcuse e Fromm attraverso gli Studien über Autorität und Familie favorisce una apertura agli studi sulla psicologia individuale della critica sociale d’impostazione marxista .
Partendo dal presupposto che “coesione e sopravvivenza degli ordinamenti sociali non sono spiegabili con puri fattori economici né con l’opera della violenza” l’Institut si proponeva di indagare il rapporto dialettico “che connette il reale dominio di classe con la sua interiorizzazione nella psiche individuale e collettiva e con la sua legittimazione in forma di ideologia politica, filosofica o religiosa”.
Il contributo di Marcuse agli Studien si concentra sull’analisi del rapporto autoritario, e dunque dei concetti di libertà e di illibertà all’interno della filosofia borghese.
Alcuni elementi che sono entrati a far parte in modo stabile del concetto borghese di libertà vengono fatti risalire da Marcuse al pensiero di Lutero. Scondo il pensiero di Lutero, nella società borghese la libertà è assegnata alla sfera interna della persona, all’uomo interiore, mentre l’uomo esteriore, l’uomo come soggetto sociale, è assoggettato al sistema delle autorità mondane.
Ma la libertà che Lutero riconosce agli uomini è tanto assoluta da non poter produrre “nessuna azione e nessuna opera quale sua libera attuazione e realizzazione”. L’individuo viene così esautorato dalla prassi sociale, viene esonerato dalla “responsabilità per la propria prassi in una misura fino allora ignota”.
Questa forzata separazione tra sfera pubblica e privata dell’individuo proposta da Lutero, mentre sembra rivendicare un baluardo inalienabile di libertà, incondizionata dalla realtà sociale, in realtà viene usata per giustificare l’illibertà e l’ineguaglianza reali. La non necessità di confrontare la libertà interna con la realtà sociale è infatti usata per dimostrare che l’individuo non ha potere e non ha diritto a giudicare l’autorità esterna: “l’ordine esteriore è commisurato interamente ai criteri a cui sono soggetti la prassi e le opere, staccate dalla persona”, il diritto è immanente alla sfera delle autorità mondane e non può essere giudicato dai singoli individui.
Dunque, riconoscere la libertà dell’uomo come un a priori interno, come un valore assolutamente indipendente dalla realtà sociale, preclude ogni possibilità di influire sulla società in modo da renderla effettivamente più libera: al contrario, “se l’illibertà esterna può compromettere l’essere autentico dell’uomo, se della libertà o illibertà dell’uomo si decide nella prassi sociale e non in astratto, allora l’uomo è libero da Dio e può diventare libero per se stesso nel significato più pericoloso del termine”.
Per Lutero dunque, come poi per Calvino, “la libertà cristiana non solo non presuppone il libero arbitrio, ma lo esclude”.
Un’altra questione sollevata da Marcuse, e relativa alla riproduzione delle strutture di potere, è quella della famiglia.
Per Lutero l’inevitabile sottomissione degli individui ad una autorità sociale deve essere preparata attraverso l’onore tributato dai bambini alla madre e, soprattutto, al padre: “il comandamento impone di onorare i genitori affinché la caparbietà dei bambini sia piegata, ed essi diventino umili e miti”.
Calvino individua invece nell’educazione in seno alla famiglia una funzione
psicologica più sottile. Poiché l’animo e la mente umane mal sopportano la sottomissione, essi sono abituati dolcemente a sottomettersi attraverso l’accettazione dell’autorità dei genitori, alla cui tutela tutti i bambini sono sottoposti e che “per natura è più delle altre oggetto di amore, e meno di ostilità”. “Ben
di rado”, commenta Marcuse, “la funzione sociale della famiglia nel sistema delle autorità borghesi è stata formulata in modo più chiaro”.
A partire dalla famiglia dunque, la scuola di Francoforte propone di negare questa divisione tra sfera privata e sfera sociale dell’individuo, aprendo la strada a una serie di studi sulla reciproca influenza dell’autorità esterna e internalizzata. Purtroppo, una direzione di studi che spesso si è richiusa su posizioni riduttive (la realtà esterna condiziona quella interna, punto), mentre la divisione fra le due sfere rimane ancora alla base di numerosi costrutti ideologici, più o meno fascisti o riformatori.
Carlo