Posted: January 28th, 2009 | Author: anarcosurr | Filed under: L'age d'or | Comments Off on Un uomo a metà
Girato da Vittorio De Seta nel 1966 senza un copione, il film è dedicato allo psicoanalista junghiano Bernhardt con cui il regista era in analisi dal 1958. Un uomo a metà non mette in scena la realtà materiale del setting, la stanza d’analisi, il divano, nemmeno le parole della terapia, ma cerca di rappresentarla dall’interno.
Il film è tecnicamente molto complesso: inquadrature eccentriche, un continuo gioco tra fuoco e fuori fuoco, rallentatore, voci che sembrano fuori campo, primissimi piani dei volti, continui stacchi che alterano le posizioni degli elementi delle inquadrature… Tutta questa complessità tecnica riesce a non appesantire più di tanto il film e dargli l’aspetto, più che di un sogno, dell’elaborazione di un sogno. Infatti, Michele, il protagonista, è spesso presente come osservatore all’interno dei suoi ricordi e delle sue fantasie.
Michele rivive più che ricordare: è adulto in mezzo ai personaggi della sua infanzia, ed è sempre interpretato dallo stesso attore. La narrazione procede per salti dall’interno all’esterno e dal passato al presente, o per meglio dire descrive uno spazio tempo che si trova contemporaneamente nel passato e nel presente di Michele, nel suo mondo interno e nel mondo reale. Un uomo a metà trova così una soluzione abbastanza originale per descrivere il processo di elaborazione.
Alcune immagini isolate sono collocate in anticipo rispetto agli altri elementi necessari per comprenderle, riproducendo, più che simboli, i punti di focalizzazione del processo di analisi. Lo spettatore è coinvolto nella loro comprensione allo stesso livello di Michele e la progressione del film viene fatta corrispondere alla progressione del lavoro di introspezione del protagonista.
Con Jung possiamo dire di Un uomo a metà che “questa intera creazione è essenzialmente soggettiva, e il sogno è il teatro dove il sognatore è allo stesso tempo sia la scena, l’attore, il suggeritore, il direttore di scena, il manager, l’attore, il pubblico e il critico”, che tutti i personaggi, le scene, il montaggio, i dialoghi sono parte del mondo interno di Michele. La loro esistenza nel film non è autonoma. La ragazzina che lo tenta e lo deride nella sua infanzia è già una donna, ha la voce di una donna, ed è contemporaneamente Elena che lo ha abbandonato, la madre terribile della sua infanzia e la giovane che Michele cerca di baciare nel parco.
Il film è un invito alla comprensione del profondo, contro il determinismo psicologico che ci vorrebbe fatti di impulsi e funzioni, Un uomo a metà è il documentario di De Seta sul mondo visto dall’interno.
Carlo
Un po’ di materiale: Link al torrent del film
Intervista di Goffredo Fofi a de Seta, pp. 49-55 Un uomo a metà : DeSeta.pdf
Goffredo Fofi, “Conversazione con Vittorio de Seta”, in Vittorio de Seta. Il mondo perduto, a cura di Goffredo Fofi e Gianni Volpi, Lindau, Torino 1999
Ora anche in AA.VV., La fatica delle mani. Scritti su Vittorio de Seta, a cura di Mario Capello, Feltrinelli, Milano 2008, allegato con il dvd Il mondo perduto. I cortometraggi di Vittorio de Seta 1954-1959
Un uomo a metà trova così una soluzione di estrema eleganza ed efficacia per trattare il processo analitico.
Posted: January 17th, 2009 | Author: anarcosurr | Filed under: La chambre d'écoute | Comments Off on Al Jazeera e Creative Commons
Apprendo da qui.
Al Jazeera ha deciso di rilasciare tutti i suoi servizi dalla striscia di Gaza
sotto licenza creative commons.
Ora, questo è importante per due ragioni:
– Primo, mentre la maggior parte delle tv piange e fa causa a chi condivide le
loro cagate epocali, questi decidono di condividere il loro lavoro. Chiaro, è
anche un’operazione di marketing, perchè il loro logo campeggia su tutti
questi video, ma è anche la testimonianza di come questa tv creda in un modo
diverso di diffondere i saperi. Molti dovrebbero prendere esempio.
– Secondo, nel momento in cui i media occidentali sono impotenti, a causa
dell’embargo, dei bombardamenti alle sedi ONU, della compiacenza bipartisan di
cui siamo infestati (Santoro docet), è un mezzo utilissimo per diffondere
informazione su ciò che realmente sta accadendo a Gaza.
Pur non avendo simpatia per le televisioni commerciali, mi sembra un’iniziativa lodevole.
Potete trovare i video su: http://cc.aljazeera.net.
g.
Posted: January 12th, 2009 | Author: anarcosurr | Filed under: La chambre d'écoute | Comments Off on Omaggio a Fabrizio De Andrè
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
g.
Posted: January 6th, 2009 | Author: anarcosurr | Filed under: L'empire des lumières | 1 Comment »
Avevo già analizzato
qui il delirio collettivo che pervade la rete, la cosiddetta "blogosfera", il cosiddetto "web 2.0". Termini che odio. La rete per me dovrebbe essere ancora quella di dieci anni fa, una gigastesca distesa dove esprimere sè stessi e le proprie idee, in libertà. Dove le poche isole controllate da questa o quella corporation sono ausili per il navigante, e non costrizioni, e se uno le vuole evitare, è libero di farlo. Ricordo i motori di ricerca arcaici, dove era un’impresa trovar qualcosa, ma, giunti sulla pagina desiderata, sembrava di aver scovato chissà quale tesoro.
Ricordo l’avvento di Google, con le ricerche che diventavano sempre più facili, con le pagine cercate che arrivavano senza più fatica. Qualche anno dopo, ci siamo resi conto che, forse, quel gigante con la G non era poi così diverso dalle corporation di cui avevamo imparato a diffidare. Nell’era dell’informazione, le informazioni sono diventate oro, e chi le possiede può esercitare un potere pressochè sconfinato. Brin e Page avevano elaborato una macchina ingegnosa, che, nel giro di qualche anno, lavorando con fatica, era riuscita a raccogliere un numero di informazioni tale da rendere straricchi loro e i loro inserzionisti.
Ora, questa forma di capitalismo, sebbene, all’epoca innovativa, rielabora i canoni di sempre: qualcuno ha un’idea, fatica per metterla in piedi, corre il rischio di fallire più volte, e alla fine incassa i milioni, stando attento che un altro pescecane non gli faccia la festa.
Ma le meraviglie del web formato 2.0 hanno superato questo vetusto e dispendioso modello. All’alba del 2009, chi ancora fatica per avere successo (anche se sulle spalle altrui) spreca energie.
Create allora un portale, messo lì, ufficialmente, per ritrovare i vostri amici perduti di vista dal liceo. Date la possibilità a chiunque di iscriversi, creare reti di socialità, mettere dentro foto e qualsiasi informazione su sè stessi, aggiungete un accordo di licenza al limite del ridicolo (ma tanto chi li legge?) e mettetevi comodi nella vostra villa di San Josè o di chissà dove ad aspettare, tra Martini e piscine. Miracoli del web, le informazioni fluiscono da sole! In milioni, a inserire tutto ciò che hanno da dire di sè, la lista di tutti i loro amici, cosa piace loro, cosa gli fa schifo, chi ucciderebbero, non importa se zingari, ebrei o chicchessia… in un decimo del tempo impiegato da Google, ecco avere tutte le informazioni necessarie per bersagliare questi produttivi utenti di pubblicità. Con un vantaggio in più: le informazioni sono già ritagliate a misura sull’utente, e non sono più necessarie quelle tecniche di data mining e marketing con cui gli informatici si masturbano il cervello. Ma c’è di più. Il delirio non poteva finire qui. Ecco gli utenti stessi che iniziano a fare pubblicità, gratuitamente, e apparentemente senza nessuna ragione se non alimentare questo gioco perverso. Ecco il tuo miglior amico che ti informa di essere diventato fan di una bibita dalla lattina rossa, ed ecco che anche tu lo diventi, perchè ti piace da impazzire, e l’informazione si propaga per tutta la rete di amici. Pubblicità gratuita, e mirata al target giusto. Per una sit-com, o qualunque altra cagata, è un attimo diventare popolari.
Non finisce ancora qui. Giochini più o meno stupidi iniziano a spuntare, che un utente può inserire nella sua pagina. La gente ci perde le giornate. Quello che non sanno, è che quei giochini possono ottenere all’instante tutte le informazioni che loro, più o meno inconsapevolmente, hanno "regalato" al social network. E usarle per chissà quali fini, senza neanche pagare un obolo a quei filantropi che hanno creato questa sorta di summa dell’umanità intera. Informazioni, magari anche molto private (ma perchè le pubblicate??) che diventano di dominio pubblico, ottenibili da chiunque, non solo dagli "amici". Già, gli amici.
Gli amici meritano un discorso a parte. Mi considero una persona abbastanza socievole, ma, a contarli a uno a uno, fatico ad arrivare a 30 amici… e qui c’è gente che ne ha centinaia… è cambiato il significato di amicizia? Beh, il gioco perverso sta anche in questo. Più il network spinge a fare amicizia, più le informazioni utili per chi lo controlla si propagheranno, e raggiungeranno un pubblico più vasto. Non destinatari casuali, come nel caso dello spam (dilettanti!), ma un uditorio rigorosamente selezionato per provenienza, livello culturale ed età. E poco importa se quello che ti ha appena chiesto amicizia non ti saluta nemmeno quando ti vede ed è anche fascista, avere più amici ti rende più popolare…
La creatura cresce ad ogni minuto, e non è controllabile. Se tu hai un po’ di pudore e non pubblichi quella foto di te ubriaco e vestito da suora, qualche tuo amico lo farà di certo, e ci appiccicherà il tuo nome. E resterà lì per sempre. E tu, meschino, non avrai neanche il copyright su di essa. Magari, tra 4 o 5 anni, la useranno come immagine per la campagna pubblicitaria di qualche azienda che non sopporti. Questo è Facebook, amico.
Purtroppo, a stare lontani da questi meccanismi sono sempre meno persone, e farsi fagocitare è sempre più semplice. Noi, per ora, resistiamo.
g.
L’immagine è stata presa da
qui
Posted: January 5th, 2009 | Author: anarcosurr | Filed under: La chambre d'écoute | Comments Off on Raid Gaza: the game
Mentre a Gaza la gente continua a morire, e c’è chi si diverte a giocare con le filastrocche natalizie, un nuovo gioco arriva in rete a scuotere gli animi:
Raid Gaza: the game
Si tratta di uno dei giochini in flash che ci hanno abituato a vivere in modo critico i momenti di svago. Sì, lo so che flash è proprietario e andrebbe evitato come la peste, ma tant’è…
Il giochino in sè non è un granchè, si impersona l’esercito israeliano che deve distruggere Gaza. Nella miglior tradizione dei giochi di strategia per le masse, bisogna costruire una base militare in cui ogni edificio ha una funzione, e poi costruire carri armati, fanti e aerei. L’obiettivo, manco a dirlo, è uccidere il maggior numero di palestinesi rispetto agli israeliani morti. I pericolosissimi palestinesi, infatti, lanciano, di tanto in tanto, razzi a caso, che potrebbero, ma anche no, colpire un unità israeliana. Gli israeliani, invece, colpiscono sempre. Se si colpisce un ospedale, si guadagnano punti bonus.
Ho fatto una partita, e sono riuscito a uccidere 15 palestinesi per ogni israeliano perso. Alla fine, però, il democraticissimo Olmert mi informa che, nel 2007, le offensive israeliane causarono 25 vittime palestinesi per ogni vittima dell’altra fazione.
Questa volta, tristemente, la finzione non è riuscita a superare la realtà.
g.
Posted: October 23rd, 2008 | Author: anarcosurr | Filed under: La chambre d'écoute | 2 Comments »
Il governo vuole spostare la protesta di questi giorni su un piano che giustifichi la repressione, spingendo il movimento a risoluzioni più violente, facilmente manipolabili dai media e che lo allontanerebbero dai docenti e dalla popolazione. E’ il solito trucco, vediamo di non cascarci. Cerchiamo di non contribuire a soffocare le nostre stesse iniziative – è già abbastanza difficile così e dovremmo cercare di resistere per molto tempo. Continuiamo le lezioni in piazza, continuiamo a fare informazione diretta, a parlare con le persone, teniamo vive la gioia e l’intelligenza che si sono viste in questi giorni. Su queste cose la polizia non ha alcun potere.