Dipendo (frammento)

Posted: May 23rd, 2008 | Author: | Filed under: Les fleurs de l'abîme | Comments Off on Dipendo (frammento)


 

Dipendo da me stesso

non sapendo se

da qualche parte esista

un me altro.

 

Jack Conti 


Gomorra

Posted: May 20th, 2008 | Author: | Filed under: L'age d'or | 1 Comment »

 

 

 

Andate a vedere Gomorra di Matteo Garrone.

Forse non sarà un capolavoro, parola di cui a volte la critica abusa con troppa leggerezza, ma di certo è un piccolo miracolo.

Un oggetto cinematografico unico, a distanze siderali dalle Piovre, dal poliziottesco, dall’estetismo del brutto (patologia abbastanza diffusa nel neo-neorealismo nostrano).

Colpisce per il rigore dello stile che raggiunge il massimo di verità attraverso il massimo di artificio: piani sequenza fluidissimi, uso molto elaborato del fuori campo e del fuori fuoco, macchina da presa inchiodata ai personaggi. Stupisce per la precisione assoluta dei dettagli: le facce, i vestiti, i tic, le situazioni. Solo musica d’ambiente, soprattutto canzoni dei neomelodici napoletani, mescolata a uno stratificato mosaico di suoni e rumori. I sottotitoli accompagnano gran parte delle sequenze, recitate in dialetto stretto. L’ambientazione è costituita da luoghi reali: le Vele di Scampia, le campagne del Casertano, la costa di Napoli. Attori professionisti come Tony Servillo vengono amalgamati alla perfezione a gente presa dalla strada raggiungendo un risultato assolutamente strepitoso per vivezza e immedesimazione.

Il racconto rimane sempre misurato, la tensione sostenuta, senza un momento di stanca in due ore e un quarto. Non un movimento di macchina di troppo, nessuno che crepi al ralenti. Non c’è un pianto, una mamma affranta che urla “Me l’hanno acciso!”, un intermezzo sentimentale, un facile gesto di riscossa. Non c’è la minima spettacolarizzazione della violenza, sempre cruda e squallida e soprattutto mostrata come parte integrante della quotidianità, un accidente vissuto con
indifferenza.

Il risultato è un’immersione totale in una zona di guerra, in cui si può morire con una facilità sconcertante e si vive per lo più alla giornata in balia del potere criminale che dà “conforto e lavoro”.

La differenza fondamentale rispetto al libro di Saviano (autore del soggetto e cosceneggiatore) è la rinuncia alla denuncia concreta: al posto di nomi, dati e fatti di cronaca, cinque storie esemplari riprese dal libro e raccontate in parallelo. Ciò che si perde in precisione viene convertito in potenza, ma se si guarda con la dovuta attenzione ci si accorge che tra le righe c’è tutto.

Credo si possa affermare che il film stabilisce un rapporto di complementarietà con l’inchiesta: quello che Saviano spiega e denuncia, il film di Garrone ce lo fa vivere sulla pelle, creando un’ angoscia pervasiva che diventa rabbia per uno stato di cose del tutto intollerabile.

 

Jack Conti

 


Copyright vs. Community

Posted: May 12th, 2008 | Author: | Filed under: L'empire des lumières, La Sortie de l'école | 4 Comments »

 

 

Spesso si ritiene che il copyright, nelle incarnazioni con cui siamo abituati a confrontarci, sia parte integrante e fondante della nostra società. In genere si pensa che, senza diritto d’autore, nessuno sarebbe spinto a creare alcunchè di nuovo.
In questo articolo analizzeremo come quello che oggi chiamiamo diritto d’autore sia tutto tranne che una tutela per gli artisti o, più in generale, per i creatori di nuova conoscenza.
Il copyright moderno nacque successivamente all’invenzione della stampa. Prima di questo evento, chiunque poteva copiare un libro semplicemente facendolo di suo pugno. Di fatto il commercio delle opere non esisteva, e quindi non si sentiva il bisogno di legiferare sull’argomento. Un autore veniva pagato per scrivere un’opera, in genere dal potente di turno, ma non vedeva una lira per le copie del suo libro che venivano prodotte dopo la prima stesura.
Con l’avvento della stampa la situazione cambiò radicalmente, in quanto iniziarono a nascere gli editori, che, stampando migliaia di copie dei libri che gli autori scrivevano, iniziarono a creare profitto dalla diffusione di un libro su larga scala. Per assicurarsi di avere sempre nuove uscite con cui allettare il pubblico, gli editori, assieme ai governi, crearono il copyright. Il diritto d’autore, nella sua forma originaria, voleva essere un incentivo per gli autori, che tramite esso, si vedevano corrisposto un compenso per ogni copia dei loro libri che veniva venduta.
L’introduzione dei vincoli sulla copia delle opere letterarie toglieva ai lettori la libertà di effettuare copie dei libri che acquistavano, ma era bilanciata dalla garanzia di avere sempre nuovi libri di qualità e di finanziare gli artisti.
Col passare del tempo, tuttavia, le aziende spostarono il fulcro dei contratti di copyright sempre meno a tutela degli artisti e sempre più a tutela di sè stesse. Quello che doveva essere un diritto temporaneo, che arrivava a scadenza dopo un ragionevole lasso di tempo al fine di favorire nuove opere iniziò a venir prorogato. Emblematico è il caso della Disney, e delle sue pressioni sul governo americano per non veder scadere i diritti su un topo partorito ormai quasi 80 anni fa. Anzichè far fronte allo scadere delle royalty creando nuova arte, si paga il governo per allontanare il giorno in cui si dovrà fare i conti con lo scadere del copyright, e quando questo giorno si avvicinerà di nuovo, lo si posticiperà ancora e ancora. Il sistema ha mostrato chiaramente le sue contraddizioni.

Con l’avanzare della tecnologia, inoltre, è diventato sempre meno costoso diffondere opere d’arte, fino a giungere all’era di internet, in cui copiare un brano musicale non costa nulla ed è quasi immediato. Le aziende avrebbero potuto reagire a questo cambiamento in vari modi. Reagirono restringendo sempre più la libertà degli utenti, arrivando a commercializzare musica riproducibile solo su determinati lettori, o a vendere libri elettronici leggibili da una sola persona e per un numero limitato di volte. A una tale riduzione di libertà, però, non corrispose un adeguato corrispettivo agli autori.

La bilancia tra libertà tolte agli utenti e incentivi per la produzione di nuova arte iniziò a pendere troppo da una parte.


In quest’ottica si colloca il ciclo di conferenze che Richard Stallman sta tenendo in giro per l’Italia in questo periodo. L’inventore del software libero e del progetto GNU ha deciso di estendere la propria attenzione dai programmi per computer a tutti i campi del sapere, esponendo una sua visione di come, nel 2008, il copyright dovrebbe cambiare per restare al passo coi tempi.
Stallman ritiene che le libertà che vengono tolti agli utenti tramite il Digital Rights Management o altri meccanismi simili siano inaccettabili.
Egli ritiene che la diffusione di qualsiasi opera, per fini non commerciali, dovrebbe essere libera.
In particolare, individua tre categorie di opere che vadano coperte dal copyright:

 

  1. Tutte quelle opere che siano necessarie per la collettività – Si tratta, ad esempio, dei farmaci, o dei progetti di strade, o la ricetta per produrre energia pulita. Tutti questi prodotti, essendo fondamentali per il progresso e il benessere della società, dovrebbero essere disponibili per tutti, sia a fini di studio che di fruizione. Gli utenti devono essere liberi anche di migliorarle, in quanto da quest’azione trae giovamento tutta l’umanità.
  2. Opere legate a memorie – Sono tutte le opere "storiche", frutto di
    testimonianze dirette dell’autore o di inchieste giornalistiche. Per
    queste opere Stallman propone la libera circolazione non commerciale,
    ma la possibilità di venderle o di modificarle solo con l’esplicito
    consenso dell’autore. In questo modo si garantisce a chi produce opere
    di guadagnare per il proprio lavoro, qualora questo venga distribuito a
    scopo di lucro. Si garantisce anche che non possano esistere modifiche
    del lavoro di un autore senza la sua approvazione. In questo modo si
    vuole preservare l’integrità storica di questo genere di produzioni.
  3. Opere di "intrattenimeno". Si tratta di tutte le restanti opere
    letterarie, dai romanzi ai brani musicali. Per queste opere, Stallman
    propone una riduzione drastica della durata del copyright, intorno ai
    10 anni. Pone vincoli simili alle opere del gruppo 2, salvo che, per
    mantenere l’integrità artistica di un’opera, non ne ammette la modifica
    fino allo scadere del copyright. Una volta scaduto questo, l’opera sarà
    completamente di pubblico dominio, e la comunità avrà anche la facoltà
    di distribuirne proprie versioni modificate.

Resta la domanda su come facciano gli autori a guadagnare se chiunque può distribuire gratuitamente le proprie opere. L’obiezione nasce dalla convinzione, errata secondo Stallman, che chi produce arte guadagni in maniera rilevante dalle opere che vende. Questo, a suo dire, è falso, in quanto, ad esempio, i soldi che derivano dalla vendita dei dischi vengono distribuiti in maniera iniqua in gran parte alle superstar e in minima parte agli autori minori.
Stallman teorizza allora un mezzo informatico in grado, tramite la rete, di trasferire, tramite un clic, un euro all’autore di un brano che ci piace, semplicemente visitando la sua pagina web. Tagliando fuori le case discografiche, la distribuizione ingiusta dei proventi avrebbe fine.

Credo si tratti di riflessioni interessanti, con le quali magari si può non essere totalmente d’accordo, ma che costituiscono una buona base per una discussione critica.

g.


25 aprile

Posted: May 9th, 2008 | Author: | Filed under: Les fleurs de l'abîme | 1 Comment »

Le
batteva forte il cuore nell’attenderne il ritorno
dopo due anni
di notizie perse
Avevi cominciato a piangerlo o tenevi ancora
accesa la speranza?

Lei, che ricamava con le sue iniziali
federe e lenzuola
Ancora prima di rivolgergli la parola

Lui,
disperso in Francia
Cammino lento di bosco
Fame, freddo,
paura
A non fidarsi mai di nessuno
Nascosto da partigiani,
puttane e suore
Che con la divisa sei fascista
Che senza la
divisa sei disertore
Ladro, brigante, comunista o contadino

Muori ucciso ed è il tuo destino

Lei, ragazzina con le
trecce
Idee chiare di socialismo
Distingueva bene tra il nero
del male
E il rosso dell’amore, sapeva con chi stare

Lui,
dietro il suo fucile senza un colpo mai sparato
In terra
straniera dove tutto ti è nemico
Pensava a suo padre ucciso
dalla prima guerra disperata
Correva di albero in albero per
tornare da quella madre che lo aspettava
Vivo, ancora intero ma
senza fiato.
I rossi, i neri non erano affare suo
La politica
e i salotti bene sono vezzi
Per chi la storia la scrive
non
la vive.

Per il sangue rosso della ragazza
Per il cuore
nero del vecchio gerarca
La vita del ragazzo non vale un cazzo

Se c’è una guerra da vincere e un nemico da annientare
La
vita è solo una matricola
Lo scotto da pagare

Quel
giorno d’Aprile il cielo era fermo
Guardava gli ultimi fucilati

Le ultime mosse della bestia che spira all’inferno
Su tutti
quei corpi dilaniati
La guerra è finita

Lei, cerca una
notizia, controlla le strade
Ha fiducia ma qualcosa le manca
Se
lui è morto lei non sarà mai più in pace

Lui, ancora
addosso la paura del traditore
S’aggira nel suo paese come uno
straniero
Ogni angolo non gli è sicuro
Al buio è terrore
quando tutto tace

Lei, lo vede con la madre
Il cuore le
ritorna in petto
Il tempo ricomincia dopo cinque anni di
rinuncia.

Mangiano insieme, forse fave
Di la dagli alberi
del bosco
Quel che successe è storia loro
A me resta a ogni
anno il ricordo
Di quando i miei nonni sconfissero il mostro

Chiara


Dalla parte sbagliata

Posted: May 8th, 2008 | Author: | Filed under: La Sortie de l'école | 11 Comments »

 

 

Guagliardo scrive: “Una società ancorata all’ideologia produttivista […] conosce solo il principio del successo individuale, riservando alla sconfitta i regni dell’oblio e/o della vergogna”.

 

L’accento qui, più che sulla lotta e sull’ingiustizia che conosciamo,  è sulla sorte, e più ancora sulla funzione, dello sconfitto. Dalla spietata competizione nel “mondo del lavoro”, alle torture subite e al silenzio che viene imposto alle vittime del sistema carcerario, fino alla patologizzazione della devianza sociale, assistiamo in ogni campo ad un rifiuto ed una rimozione sistematica del perdente, di chi per scelta o per incapacità non entra a fa parte del sistema “normale”, che altro non è se non il sistema dominante.

Questo sistema non solo esclude i “perdenti”, ma è fondato su questa esclusione, che Guagliardo definisce come il “rito del capro espiatorio”. Ad esempio, il sistema penale ha la funzione di definire il crimine, e dunque lo crea “al fine di cementare moralmente la società al rito del capro espiatorio e di avere una ‘delinquenza maneggevole’ (Focault), che giustifichi il controllo sull’intera popolazione”. Il criminale è il capro espiatorio che giustifica l’esistenza, e l’ingiustizia, dell’intero sistema.

Il sistema penale dunque, prima ancora di essere un apparato repressivo dello stato, va combattuto nella sua forma di ideologia. Basta pensare come la percezione della criminalità sia costantemente e intenzionalmente distorta a vantaggio dei criminali di maggior caratura attraverso l’adozione a “capro espiatorio” dei piccoli delinquenti, e dall’abuso della cronaca nera. Niente di molto diverso avviene nei confronti dei falliti di altra natura, attraverso altre forme, più o meno sottili di discriminazione culturale, economica, sessuale.

 

Dunque la società per Guagliardo si raccoglie, nasce,  attraverso questi violenti riti di esclusione, in un modo non diverso da quanto descritto da Elias Canetti in Massa e potere.

Si torna così al problema della violenza, che Guagliardo ha già affrontato in Di sconfitta in sconfitta, sostenendo che l’uso della violenza non può avere altro esito che la conferma o la creazione di un potere oppressivo. Da questo fatto, Guagliardo derivava la necessità per ogni movimento rivoluzionario di adottare metodi non violenti.

Chi pratica un comportamento violento sottomette le proprie responsabilità allo scopo che intende raggiungere. Al contrario la forma base dell’azione non-violenta consiste nell’obiezione di coscienza in quanto essa non ammette questa sottomissione. Allo stesso modo chi acconsente, anche solo rinunciando ad opporsi, ad un sistema basato sulla violenza, inevitabilmente accusa e aggredisce chi non può o non vuole farne parte. Così il violento come l’indifferente sono entrambi coinvolti nella violenza della discriminazione.

Attraverso questi argomenti Guagliardo giunge quindi ad individuare nel consenso, prima ancora che nella violenza, l’elemento generatore dell’oppressione: “il potere non nasce dalla violenza, ma dal consenso, più precisamente dalla servitù volontaria”.

L’obbiettore, ovvero il rivoluzionario non violento, è dunque innanzitutto colui che nega il suo consenso ponendosi al di fuori della massa dei “vincitori” e di chi si ritiene nel giusto solo perché accetta un sistema condiviso. Ma proprio per questo il rivoluzionario si troverà ad essere uno sconfitto, un emarginato e perfino un anormale, perché tale è effettivamente secondo le coordinate del sistema che vuole combattere.

Spesso però pur di partecipare in qualche modo alla vita politica o sociale così come essa è strutturata  si è tentati da una soluzione più facile e “si cambia causa quasi senza rendersene conto”. Col risultato paradossale che a volte anche la validità di idee rivoluzionarie è giudicata in base al successo sociale di chi le professa.

Carlo

Vincenzo Guagliardo, Resistenza e suicidio. Appunti politici sulla coscienza, Edizioni Colibrì, Torino 2005.

 


[sono 5 mesi che non guardo la tv]

Posted: May 7th, 2008 | Author: | Filed under: Les fleurs de l'abîme | 1 Comment »

 

 

sono 5 mesi che non guardo la tv
oggi
ho visto un telegiornale
era l’ora del telegiornale
la scritta
diceva telegiornale
ma non mi sembrava un telegiornale

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